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"PAGINE D'AMORE PER MIO FIGLIO"
GIOVANNI E IL RISCATTO DELLA LETTERATURANessuno sceglie quando venire al mondo.
Così come nessuno decide quando lasciarlo.
È possibile che, lungo il sentiero della propria vita, si possano raccogliere, nel cestello del proprio vissuto, tutte quelle esperienze che, una volta poste in esame sopra un tavolo al ritorno a casa, si rivelano per quella cardinalità che è tipica delle parabole, delle favole antiche e degli insegnamenti, coniati da un senso profondo del quale è impossibile scorgere il fondo?
È una domanda antica e permeante, soffusa e spietata, che intercede qualsiasi pensiero non appena lo scrivano, in qualunque parte del mondo esso si trovi, si segga sulla sua seggiola ed abbia modo di impugnare la penna.
Quanto è fattibile la misurazione del loro riverbero effettivo? La vibrazione innestata avrà una valenza a lungo gettito?
Verrà ascoltata?
Può davvero, la singola esperienza vissuta e respirata nell'intimo, protrarsi oltre la bolla dell'individuale ed andare ad influenzare concretamente il mondo altrui?
È su queste basi che, al primo acchito, il nuovo lettore si approccia a Giovanni Tommasini; perché la medesima domanda, di riflesso, se la pone soprattutto lui, cliente finale: quanto ha peso il testo che leggerò? Mi fornirà quelle soluzioni a cui tendenzialmente punto, quando attingo ad un'opera letteraria, artistica, scientifica, comunque modellata dall'uomo?
Perché è inevitabile affermarlo: l'essere umano è alla assidua ricerca del proprio simile, ovunque esso sia; in modo costante, instancabile, seguendo quel flusso spesso e non misurabile, infinito come il tempo, dettato dal suo stesso istinto recondito. E l'opera d'arte, etimologicamente ideata e gestita dalle braccia, costituisce, senza dubbio fatto, l'agente artificiale di un pensiero, di un concetto immesso dall'Altro; un canale di comunicazione espresso ed inserito nella realtà.
Una liberazione, come riterrebbe Tommasini.
Perché il cammino che ha portato l'autore al compimento della collana che reggete fra le mani, non è avvenuto in un contesto regolare e ovattato, fra muri intonacati di rosa, punteggiati da quadri con riposanti paesaggi agricoli, innanzi ad uno scrittoio di mogano orlato di bordi antiurto e la sicurezza di un paio di imposte sigillate ed un termosifone acceso: Giovanni, educatore di una casa famiglia nel primo entroterra genovese che ha vissuto la propria città fin da bambino nel suo cuore più fibroso e reale, è, a tutti gli effetti, un sopravvissuto. Intellettuale, verrebbe da aggettivare.
Nato dalla parte nascosta dell'utero, sfociò dal corpo di sua madre come una spiazzante sorpresa; “peloso” e “irrequieto”, espresse ben presto la sua impreparazione al soggiorno su questo mondo mordendo e pestando, rispondendo a tono e chiudendo con tonfi secchi i libri di scuola.
“Ingestibile!”, “Particolare!”. Le insegnanti gli affiliarono un profilo da somaro tale che permisero al padre, dirigente di banca, di mantenere, assieme alla anaffettiva madre, un trattamento esclusivo nei suoi confronti non comunque dissimile da quello che già utilizzava nei giorni buoni. E mentre la sorella stava a guardare, strane voci iniziavano a circolare sulla testa del fratello gemello...
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L'immagine di copertina dal titolo EXP_0152.RAW è stata realizzata da Maurizio Sapia.
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Un muro bianco, di fronte a me un bambino bellissimo con un bacchetta da direttore d'orchestra in mano, perso nel silenzio, in una melodia che solo lui percepiva.Ai piedi del suo letto, di fronte a me le sue gesta per incoraggiare chi non seguiva la sua direzione, e sgridare chi stonava e non lo capiva, l'aria era offesa dalle sue sferzate per rendere la sinfonia sempre più coinvolgente.
Un'esperienza rara come una ferita, stavo iniziando a percepire la musicalità di quel silenzio, fecondato dalla sua disperata voglia di essere un unica cosa con quello spazio e quel tempo.
Questo bambino bellissimo...
Impegnarsi, perdersi nella musicalità del silenzio falciato dalle sue stilettate, i suoi movimenti nell’aria dolci e, improvvisamente, violenti. La sua “bacchetta magica”.
Non stavo male.
Non subivo il dramma dell’incapacità di vivere “normalmente”. Accettavo con amore l’'essere' di Cesare. Mi sentivo naturalmente vicino a lui.
Quelle ore le vivevo totalmente.
Mi sentivo fortunato: guardavo lui, vedevo me. Anche a me non era mai importato altro.
Ognuno il suo mondo.
Ma il problema era proprio come stare al mondo, visto che ci era stato insegnato un unico modo: la sopravvivenza con tutto ciò che ci sta intorno.
E il resto?
Eravamo noi.