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venerdì 29 settembre 2023

IL PANICO PUO' ESSERE NOSTRO ALLEATO?

 


Come vivere consapevolmente, storicizzare e neutralizzare, i prodromi del panico?

Il panico può essere nostro alleato,

il corpo chiede di fermarsi per trovare 

"le parole per viverlo".


L'amor proprio e come mi ha salvato la vita.
Ci sono in noi esperienze passate che se non recuperate vanno in automatico ad alimentare tutto ciò da cui siamo scappati. Può rappresentare la sfida di una vita l'affrontare coraggiosamente quell'altrove che tutto vorremmo piuttosto che incontrare e rivivere. Paradossalmente più rimandiamo questo appuntamento più il nostro corpo ci chiederà, nelle forme più diverse e deflagranti, di riprendere a ritroso il cammino.
Siamo fuggiti da quella casa, quelle case, anche se i loro protagonisti continuano a dominare su noi stessi.
Si può tornare, entrare, mettersi in contatto, coraggiosamente trovare le parole per tradurre un'antica male dizione per riprendere, stavolta e per sempre, il cammino, nel sentiero della bene dizione.
„Gli dei di una volta, perso l'incanto e assunte le sembianze di potenze impersonali, escono dai loro sepolcri, aspirano a dominare sulla nostra vita e riprendono la loro lotta eterna.“ — Max Weber4


Traumi; ferite emotive; una grande sofferenza interiore che affonda le radici nell’infanzia e, paradossalmente, ha origine proprio dalla famiglia, da quel nucleo che, dalla nascita, avrebbe dovuto costituire il nostro nido, un riparo accogliente e amorevole in cui sentirci al sicuro, protetti, amati, coccolati.
A volte, purtroppo, questo non accade ma, al contrario, è proprio la famiglia di origine a costituire la fonte di ogni nostro problema.  La casa si trasforma in una prigione, in un infermo dantesco da cui non sarà possibile fuggire per molti anni e cioè fino a quando l’età e le circostanze non ci permetteranno di prendere il volo e andarce alla ricerca di un luogo se non più sicuro, quantomeno più sereno.
Dalla prigione fisica, quindi, spesso riusciamo a uscire, in un modo o nell’altro, non fosse altro che per quell’innato e, a volte sottostimato, spirito di sopravvivenza.  Da quella emotiva e mentale che la realtà vissuta ha creato, forgiato ed in cui noi stessi siamo sprofondati può essere molto più difficile evadere e richiedere tempi più lunghi. 
A causa delle circostanze vissute, abbiamo, infatti, finito con il credere che altro la Vita non ci avrebbe riservato; che forse tanto dolore e tanta sofferenza ce li siamo addirittura meritati; e che l’inferno è sempre meglio del nulla.
Le circostanze oggettive, rafforzate dalla nostra personale percezione degli eventi, dalla nostra estrema sensibilità e altrettanto profonda emotività hanno continuato a tenerci a lungo incatenati in uno stato di totale negatività, un tunnel buio in cui la luce sembrava non entrare mai.
Il tempo passa, noi cresciamo, maturiamo, abbiamo relazioni spesso altrettanto fallimentari di quelle che i membri della nostra famiglia hanno avuto. 
La sensibilità e l’emotività crescendo non diminuiscono ma, al contrario, si rafforzano.  Ad esse si aggiunge una nostra maggiore capacità analitica degli eventi traumatici di cui siamo stati testimoni quando non vittime.  La conclusione cui potremmo approdare è che la Vita sembra portare solo problemi e mai soluzioni né tantomeno risposte alle nostre domande.
Corpo, Mente, Psiche e Spirito sono in continuo stato di allerta, di trambusto... fino a quando non reggono più e, a modo loro, chiedono disperatamente aiuto: ci ritroviamo improvvisamente preda di attacchi di panico

 
Andiamo in ipoventilazione, ci manca il respiro, perdiamo i sensi o comunque il controllo del nostro corpo.  Crolliamo al suolo sotto gli occhi preoccupati di qualche Buon Samaritano di passaggio che ci soccorre e chiama un’ambulanza.  La macchina – te stesso – l’hai guidata sempre al massimo della velocità cui poteva andare e il motore alla fine ha ceduto: la macchina si è fermata.
Esiste una soluzione, una via d’uscita a tutto questo?  Assolutamente sì!
Il percorso psicoterapeutico sicuramente sarà d’aiuto e in molti casi persino necessario. Noi, però, dobbiamo fare la nostra parte.  Da ‘testimoni oculari’ dobbiamo trasformarci in ‘creatori’ della nostra Vita.
Le ferite emotive restano, così come rimarrebbero le cicatrici fisiche se le avessimo.  Dei traumi vissuti rimarrà sicuramente il ricordo.
L’importante è prendere in mano le redini della propria vita.  Come?
Innanzitutto confrontandoci con la realtà vissuta, metabolizzandola, per quanto penosa.
Forse in passato e per molto tempo questo passo non è stato fatto perché non eravamo pronti a confrontarci di nuovo con tanto dolore, a guardarlo in faccia e a riviverlo.
La vera guarigione, tuttavia, può realizzarsi solo attraverso il confronto con e l’accettazione consapevole della realtà per quanto dolorosa essa sia.
Accettare ciò che è stato, per quello che è stato, è fondamentale. 
Chi ci ha provocato tanta sofferenza era malato/a, non in grado di controllare la propria vita né fare scelte diverse.  Se ne avesse avuto la capacità, le avrebbe fatte.
Accettare la realtà per quella che è stata non significa assolutamente giustificare, ma semplicemente riconoscere che le cose sono andate in un certo modo e che non è possibile cambiare il passato, riavvolgere la bobina e crearne uno nuovo, diverso, migliore.
È possibile, tuttavia, creare un presente e un futuro diversi, rifiutando di continuare a essere delle vittime
Dobbiamo, quindi, non solo confrontarci con la realtà e accettare ciò che è stato, ma avere la determinazine, la forza, il coraggio di dare un taglio al passato e riemergere dalle ceneri, creando un presente e un futuro non di pura sopravvivenza, ma vivendo la Vita nella maniera più piena possibile, focalizzandoci sulle sue bellezze, su ciò che ci dà gioia, serenità, che ci arricchisce spiritualmente, che  riempie il nostro cuore, la nostra mente e il nostro spirito di positività, di luce.
La scrittura emotiva, utilizzata quindi a scopo terapeutico, diventa uno strumento estremamente valido per liberarsi del passato.
 
Il processo di disintossicazione è in atto: non ci fermeremo fino a quando l’ultima tossina non sarà stata eliminata e il nostro corpo, la nostra mente, il nostro spirito e la nostra psiche non avranno raggiunto una salute ottimale, quella tanto agognata e mai assaporata né vissuta completamente.
 
 
Maria Teresa De Donato,
Autrice, Giornalista freelance, Dottoressa in Salute Olistica
 



lunedì 25 settembre 2023

IL RACKET EMOTIVO E RELAZIONALE. VIVERE NEL RICATTO EMOTIVO. UNA MAFIOSA VITA QUOTIDIANA.

 



Tutte le mattine mi sveglio, mi alzo dal letto e penso "a che punto siamo?" "che vita è'?".

Un pensiero che mi percorre da una vita.

Perché troppe volte mi sono svegliato e non ho potuto pensare, ma solo difendermi.

Una vita in ritirata, senza poter almeno pensare "perché mi alzo?".

Ma una mattina mi sono alzato e ho pensato "me ne vado?".

Mi ero poi scordato di proseguire con due domande necessarie e onestamente successive all'affermazione di volontà di inconsapevole voglia di emancipazione.

"da cosa sto scappando, dove voglio andare e perché, in poche parole cosa voglio lasciare"

La sfida di una vita trovare le risposte, le parole per delineare la partenza e descrivere, disegnare, il percorso da intraprendere e proseguire.

Poco importa il risultato finale, non si parte e scappa per vincere o perdere, ma per salvare il salvabile.

E' fondamentalmente per questo motivo che ora che sto per arrivare ai sessant'anni tutte le mattine mi sveglio e...

Mi chiedo "come sta andando?".

Il percorso è stato intrapreso, velocemente, appena possibile, a gambe levate.

Per perdermi nel mondo, sprofondandoci, per sentirmi parte di una realtà dove almeno potermela giocare, con l'obiettivo di un pareggio fuori casa.

In famiglia era un cappotto, una sconfitta umiliante giorno dopo giorno.

Si retrocedeva e alla fine entrava in gioco una vocina, una lametta ficcata nella mente, che mi diceva con tono violento, acuto, ossessivo, "falla finita, il terrazzo e lì, o ti butti te, o ammazzi loro"

Loro chi? Non riuscivo ancora a vederli, staccarli da me, dare un nome e metterli al loro posto.

Li avevo dentro, addosso, intorno, sulla pelle, nelle orecchie, ad occhi chiusi potevo solo parare i colpi.

Scappando, percorrendo strade a caso, incontrando altri demoni, rimettendo in atto le stesse follie e dinamiche, quasi per passarci dentro per tentare nuove fughe e trovare il terreno più sicuro sotto i miei piedi, sono riuscito a mettere luce su di loro, vederli, guardarli negli occhi, metterli fuori casa, creare una solitudine consolatoria.

La solitudine mi ha tenuto compagnia.

Senza di loro riuscivo a respirare.

Torniamo alla domanda madre. Da chi scappavo?

Da ricattatori, persone amate, che conoscevano bene la loro posizione di onnipotenza nei confronti di un bambino che non poteva difendersi ma solo chiedere.

Per questo violentatori, proprio per il fatto che per me dovevano essere lo scivolo per la vita, e invece mi trovavo ai bordi di un burrone sul quale vivevo affacciato e terrorizzato.

Dalle guerre e dai bombardamenti si cerca di prendere le distanze, si cercano rifugi e si attende il passare del tempo per poter alzare le tende e allontanarsi dalle macerie.

Pensavo che fosse stato sufficiente lasciare quella casa e che fuori fossero solo fiori e festival della canzone.

Ma era pan per focaccia.

La dinamica del ricatto emotivo, del "se no..." era sempre in attività, un "maitre à penser", una manipolazione mentale che andava in "ON" non appena veniva a realizzarsi una relazione in cui l'affettività e l'emotività relazionale veniva ad assurgere a intensità da cui dipendeva il buon o cattivo umore.

Un modo di relazionarsi mafioso. O fai cio che che ti dico e chiedo o muori.

Una relazione subdola, meschina, umiliante per chi si sente in minoranza e difetto, con il quale l'altro importante pensa di poter disporre forte della conoscenza che ha dei sentimenti in gioco.

Amore e approvazione. Si sa che in gioco ci sono queste variabili e si usano come arma di ricatto, un potere da giocare e portare dalla propria parte.

Genitori sui figli, amanti, genitori separati con figli.

Il gioco è fatto.

Ed è un vero e proprio RACKET RELAZIONALE.

Un vero e proprio abuso relazionale.

Pian piano si fa sentire che tutto dipende da te.

Il buono e cattivo tempo.

"Da quando sei andato via la nostra famiglia è crollata" (la mia gemella dopo la mia laurea).

"Scordatelo" (la mamma di mio figlio chiedendomi un mantenimento impossibile da assicurare).

"Perché intendiamoci Tommasini, se la richiesta viene fatta ripetutamente, con il ricatto di non vedere più suo figlio, siamo nella prefigurazione, almeno, del reato di TENTATA ESTORSIONE" (il miglior avvocato penalista in circolazione in risposta al racconto della "trattativa" del mantenimento nel momento in cui mio figlio ha espresso la legittima esigenza di stare "anche" con la mamma, fina ad allora figura materna latitante).

Persone fondamentali, che fanno parte della vita.

La propria.

Quella che si ama.

Ma non tutto nel bosco è mirtilli, more, lamponi e fragoline.

Ci sono le spine. 

Tante.

Lupi affamati.

E allora tutte le mattine mi chiedo "a che punto siamo?'

Mi alzo.

Mi lavo la faccia, mi guardo allo specchio e penso.

"Andiamo a vedere se può andare meglio, al di fuori di qui è Come Quando Fuori Piove".

C. Q. F. P. Cuori, Quadri, Fiori, Picche. Una partita a carte.

Da giocare onestamente, sperando di incontrare compagni di gioco altrettanto onesti.

Poco importa il risultato finale.

Fa la differenza l'intenzione.

E la voglia di vivere.


RACKET (prima definizione da ricerca google)

Organizzazione della mala vita diretta all'estorsione intimidatoria e violenta di denaro o altri vantaggi a persone apparentemente consenzienti. 

Giovanni Tommasini

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La FOMO. FEAR OF MISSING OUT. Nuove patologie dalla perenne connessione.Ne siamo tutti coinvolti. Siamo disposti a riconoscere questa patologia e a metterci nuovamente in relazione con l'Altro e la Realtà?

 


LA FOMO: LA PAURA DI ESSERE TAGLIATI FUORI


La FOMO, Fear of Missing Out, ovvero la paura di essere tagliati fuori, delinea un tipo di ansia sociale che si esprime attraverso la paura di essere emarginati, esclusi, dalla comunità dei Social Network.

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Nello specifico, la paura di essere tagliato fuori spinge il soggetto a controllare ripetutamente i suoi profili social per verificare e “sorvegliare” cosa stanno facendo gli altri. Da qui nasce la necessità di “abbuffarsi” di immagini, informazioni ed eventi per poter non essere esclusi dalla vita social altrui e propria. Inoltre, un altro aspetto di questa condotta, riporta ad una invidia latente che si manifesta e configura nella considerazione che le esperienze degli altri siano più interessanti e appaganti delle proprie. Ancora, la FOMO porta il soggetto a pensare di perdere l’opportunità di una interazione sociale gratificante: l’esperienza che mi sto perdendo è più gratificante di quella che sto vivendo. Parrebbe quindi che la migliore interazione sociale possibile sia sempre concepita tramite il digitale. Infatti, come ben spiega John M. Grohol, psicologo esperto statunitense, “i Social Network sono contemporaneamente presenza annunciata e assenza percepita degli altri e di sé […] che induce il soggetto a percepire una aspettativa emotiva di qualcosa che si sta perdendo”.
 
La FOMO, la paura di essere tagliati fuori, in prima battuta, può essere attivata dai post visibili su Facebook e Instagram: un selfie durante un evento particolare può suscitare, infatti, la paura negli altri di essere mancati a una situazione considerata divertente. Chi osserva potrebbe sentirsi tagliato fuori dall’evento stesso e ciò comporterà la condivisione di foto o post di situazioni o eventi altrettanto piacevoli, a volte anche non reali. Si può ora ben comprendere quanto ci sia, di fondo, un sentimento di solitudine che si cerca di colmare attraverso i Social. Questa paura può produrre via via la necessità di apparire online per suscitare, negli altri la stessa FOMO. La necessità psicologica di mostrarsi in situazioni piacevoli, diviene più importante di averle vissute davvero.
 
Ma chi ha più probabilità di soffrire di FOMO? Di primo acchito sarebbe lecito pensare che la paura di essere tagliati fuori, la FOMO, porti al “freezing” del soggetto in un’ottica di fuga e ritiro frustrato. Nel caso particolare della FOMO, il soggetto è, però, sempre parte attiva del circuito descritto: è attivo poiché vi è la costante visione dei Social e delle “vite degli altri”, è attivo perché egli stesso ha la necessità di postare e suscitare invidia, mostrandosi divertito, circondato da persone che come lui si divertono.
 
Come ben chiarito da Andrew Przybylski, ricercatore dell’Università di Oxford che per primo ha coniato il termine FOMO, i livelli di quest’ultima sono maggiori in coloro che percepiscono un basso livello di considerazione della propria vita e un rapporto ambiguo e confuso con i Social Media.
 
La necesità di essere sempre connessi, oltre ad aumentare i livelli di FOMO, ci interroga sui livelli di consapevolezza delle persone affette da questo disagio: quale sensibilità rispetto a loro stessi si riconoscono? Che tipo di coscienza genera la necessità della connessione? Queste domande consentono perciò di indirizzare la nostra attenzione sullo sviluppo della cultura sulle dinamiche psicologiche e psicopatologiche della tecnologia online.
 
Quella che infatti pare, e appare, come una connessione, altro non è che una interruzione: interruzione di una interazione che sta avvenendo nel qui e ora considerata, però, potenzialmente meno appagante di un’altra a cui è impossibile non collegarsi e connettersi.
 
Accorgersene è il primo passo, rompere gli schemi abituali la soluzione. Da soli o con l’aiuto di un buon percorso psicologico specialistico.
http://www.escteam.net/2018/09/news/la-fomo-la-paura-di-essere-tagliati-fuori/
 
 
La sindrome da iperconnessione può essere definita come una forma di ansia che non permette, a chi ne è affetto, di disconnettersi dal mondo digitale. Naturalmente questa sindrome si è accentuata negli ultimi anni grazie alla diffusione degli Smartphone che ci consentono di collegarci ovunque ci troviamo, ma quando scollegarsi significa sentire un forte senso di disagio, allora vuol dire che alla base c'è un problema. Un famoso psicoterapeuta americano ha affermato che una 'cura' consiste nello riscoprire la natura, correre a piedi nudi su un prato o sulla sabbia, tutto ciò che praticamente ci permetta di scollegarci momentaneamente dall'aspetto digitale e cerebrale e ritornare nella vita reale.
 
Ma l'iperconnessione nasconde altri subdoli pericoli
Infatti, oggi, si inizia circa a 10 anni ad entrare nel mondo di internet con smartphone, profili social e canali youtube, nella lontana di speranza di diventare un web influencer o un fashion blogger. Sono figure così ambite che i giovani farebbero di tutto pur di iniziare una carriera di questo tipo. Si parla proprio di una carriera perché, se si riesce ad avere un buon numero di followers, si viene profumatamente pagati dalle aziende per promuovere i loro prodotti.
 
Tutto ciò porta con sé degli effetti collaterali poco gradevoli, la continua ricerca di attenzioni e lo scopo di raggiungere la notorietà spinge i giovani a superare ogni barriera e pubblicare contenuti personali che possono risultare pericolosi. I profili social non vengono seguiti solo dagli amici, ma anche da gente estranea che verrebbe a conoscenza di informazioni personali importanti che potrebbero riutilizzate per scopi illeciti allarmanti, mettendo in pericolo l'adolescente.
 
Like addiction e Vamping, ma di cosa si tratta?
Sono due fenomeni di recente introduzione e nati proprio come conseguenza del fatto di essere sempre davanti allo smartphone o al pc; il like addicition è il desiderio sfrenato di ricevere 'like' riguardo i propri contenuti pubblicati, una sorta di continua ricerca di approvazioni da parte del mondo social che non conosce limiti.
 
Ormai è 'normale' fare shopping e fotografarsi nei camerini per fare vedere a tutti gli abiti appena provati oppure andare a cena fuori e fare la foto dei piatti per pubblicarla sul proprio profilo social. Il vamping, invece, è l'abitudine di rimanere svegli fino all'alba per chattare o, comunque, per rimanere connessi e si accompagna al fomo, ovvero l'abitudine di svegliarsi durante la notte per controllare le notifiche o rispondere ai messaggi. Per non parlare delle sfide social che consistono nel compiere un'azione (come bere una grossa quantità di bevande alcoliche) e sfidare un amico, attraverso i canali social, a fare lo stessa azione, creando una catena con pericoli per la salute non indifferenti.
 
Sicuramente l'introduzione di questi moderni strumenti tecnologici ci ha facilitato la vita, specialmente in ambito lavorativo, ma quando non c'è più nessun freno inibitorio è il momento di mettere paura e fermarci a riflettere. Sicuramente non bisogna demonizzare lo strumento in sé, ma l'uso che se ne fa.
 

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INTRODUZIONE ALL'OPERA

Una domanda di mio figlio, in un giorno qualunque, ha squarciato quel velo di inconsapevolezza che aleggiava dentro di me e ho improvvisamente sentito crescere, nel tempo, una nuova paura: che i nostri ragazzi rimanessero intrappolati nelle maglie del web. Colto da ridde di interrogativi, sono giunto a chiedermi se, ogni volta che si connettono in rete, rischiano di scollegarsi dalla realtà... Così è nato questo libro. Pensieri e interrogativi sui Millennials: lo scritto di un padre preoccupato. Un confronto fra gli adolescenti degli anni Ottanta, la prima generazione senza guerra, e i figli di oggi, cresciuti davanti a uno schermo. In ogni pagina, traccio un percorso che riporti lo sguardo dei ragazzi sulla magia del mondo interiore. Che cosa sarà di loro se, come appare ormai evidente, crescono dimenticando la fecondante funzione dell’altro, così fondamentale per la costruzione del sé e della realtà circostante? Il mio invito alla riflessione vuole essere un punto di partenza. Ognuno sceglierà su quale aspetto porre l’accento. Come sul web, infatti, anche nella realtà è possibile fare un doppio click sulle parole e intraprendere un percorso per dischiudere nuovi orizzonti. In una ricerca ostinata della relazione autentica, ancorata a ricordi spazio-temporali, si muove il mio invito a realizzare una visione progettuale della vita. Fuori dal labirinto del web ci sono sguardi e parole che ci aspettano. Dobbiamo solo alzare gli occhi e ascoltare.
TEST IN APPENDICE PER VALUTARE LA DIPENDENZA DA INTERNET.



TUTTI I LIBRI E GLI EBOOKS DI GIOVANNI TOMMASINI


INCIPIT

Eravamo a pranzo sulla bellissima terrazza di una trattoria in campagna, fra le alture di Genova. La natura attorno a noi e il mare di fronte. Tutto sembrava solo da godere e ammirare.
Mio figlio, cinque anni appena compiuti, rivolgendosi a me, con aria supplicante, disse:
«Papà, mi connetti?».
Ci vollero diverse domande prima di capire cosa intendesse. In attesa di iniziare la prima elementare, era con i suoi genitori, in mezzo alla natura e con il mare negli occhi. Cosa poteva desiderare di più?
Mentre mi sentivo in pieno contatto con tutte le espressioni del mondo, qualcosa, evidentemente, mancava a mio figlio per percepirsi completamente immerso nella realtà.
Aveva bisogno della connessione.
Ho intuito, allora, quello che ho compreso appieno poi. Stava nascendo una nuova visione della vita, basata sul sentire degli adolescenti ai tempi del post superfluo: niente è più necessario. Tutto è raggiungibile. A qualsiasi età.
Le domande piene di curiosità che i bambini facevano, sino a pochi anni fa, ora sono a portata di click. Il papà eroe, con le sue risposte formative, non serve più.
Basta chiedere a Google.

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I nostri figli, cresciuti con un video di fronte e noi dall’altra parte, non riescono a fare a meno del web. Siamo spettatori passivi di una nuova realtà, da noi difficile da comprendere e accettare in quanto genitori nati nel secolo scorso. Se non ci sforziamo, però, di trovare un punto d’incontro, rischiamo di perdere la connessione con una generazione che sceglie modelli e miti dai nuovi media.
Quella terrazza, così incantevole, sospesa tra mare e monti, per i ragazzi di oggi non è altro che un posto come un altro dal quale connettersi, incollarsi a un video e perdersi in un virtuale privo di riferimenti spazio-temporali. La realtà nella quale noi genitori, immigrati digitali e figli degli anni precedenti siamo cresciuti, è stata soppiantata da un mondo che isola e annulla i contatti.
Che cosa fare? Quale futuro ci attende? Quale risposta dare al figlio che chiede di essere connesso?
Appare necessaria una riflessione profonda sulla deriva online che ci ha travolti.
E quel giorno, una risposta l’ho trovata. Ho guardato l’orizzonte, alle spalle del mio bambino, con un solo pensiero: riprendiamoci la vita dei nostri ragazzi.
Questa breve trattazione nasce come lettera di un padre molto preoccupato proprio per le relazioni, per lo più digitali, del figlio. Cercherò di sostenere e argomentare la necessità delle relazioni da tripla AAA anche per i rapporti umani. Non parlo di parametri astratti, ma di peculiarità da corrispondere reciprocamente:
 

ACCOGLIENZA, ATTENZIONE, ASCOLTO.

ACCOGLIENZA.


LA CURIOSITÀ  DI CONOSCERE
è il più grande dono che puoi fare a un’altra persona.
Denis Waitley

ATTENZIONE.
LA SORPRESA DELLA SCOPERTA
 il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi
Sir Winston Churchill

ASCOLTO.
IL GENIO DELLA LAMPADA.
Molte persone non ascoltano mai.
Ernest Hemingway

 

Tre gambe di un tavolo relazionale fondamentali, in egual misura, affinché la struttura si sostenga. Basta che manchi una delle caratteristiche, per compromettere la relazione e far decadere la possibilità di entrare in contatto con sé stessi e con l’altro.

Oggi più che mai, infatti, c’è l’esigenza di riprendere a valutare, proporre ed esigere una reciprocità dei legami. Ogni settore della vita quotidiana si basa sulla richiesta e sulla verifica di questo schema.

Prima di entrare in relazione con un altro soggetto, infatti, l’unico modo di conoscerne l’affidabilità è chiedere una valutazione. I partecipanti alle contrattazioni economiche vagliano sempre il rating del contraente, la sua stabilità e il suo valore. Non sono solo le società e le banche ad adottare questo sistema di verifica. Ognuno di noi, prima di impegnarsi in un rapporto, analizza alcuni dati. Sono fasi necessarie, per stabilire una relazione da tripla AAA.

Prendiamo in considerazione il mondo della finanza. Prima di impegnarsi in un’avventura con un altro soggetto, qualunque ente compie un’analisi approfondita basata su: la relazione (Accoglienza), la raccolta di informazioni e lo studio del materiale collezionato (Attenzione).

I manager, poi, si incontrano e indicono riunioni (Ascolto). Al termine esprimono un giudizio sull’affidabilità del soggetto (l’altro). Il livello di rischio previsto per la relazione appena instaurata è definito con un voto espresso in lettere. Procedendo così, per gradi, chi richiede la valutazione arriva alla decisione finale e stabilisce se entrare in gioco e investire risorse.

Le relazioni sociali possono essere considerate con gli stessi parametri. Le tre AAA rappresentano una serie di atteggiamenti che, se assicurati in maniera costante, accrescono la qualità di ogni rapporto umano.

L’Accoglienza, l’Attenzione e l’Ascolto sono fondamentali per riportare le nuove generazioni offline e convincerle a togliere lo sguardo dallo schermo.

La rivelazione di un mondo emozionale, in cui il contatto con l’altro rappresenta un regalo, è l’unica speranza per restituire valore alla vita e ai rapporti interpersonali.

Scrivo questi pensieri, quindi, alla pari di un appello a mio figlio affinché inverta la rotta e riemerga da una caverna che non è più quella del mito di Platone[1], ma il buio e solitario antro del mondo virtuale. Mi auguro che ricominci a immergersi, attraverso tutti e cinque i sensi, nella realtà che noi figli degli anni pre-connessione abbiamo vissuto, per fortuna, appieno.

  

 

Ascoltare senza pregiudizi o distrazioni

 

L’Accoglienza è una predisposizione esistenziale verso una coraggiosa e fiduciosa disponibilità a essere invasi dall’altro. Il verbo invadere rende appieno il sentimento della paura, che, più di ogni altra emozione, mette in una posizione di sospetto e rifiuto nei confronti del prossimo.

Accogliere, però, implica il concetto di ricevere e far entrare nel nostro mondo qualcuno. La stessa matrice linguistica della parola ne esalta il concetto. Accolligere deriva da colligere, cioè da cogliere. La radice legere può essere tradotta anche come radunare, mettere insieme, ridurre gli spazi e le distanze o capire e afferrare il senso.

Non è un caso che il verbo leggere abbia la stessa etimologia.

Chiaramente la prospettiva diventa mettersi in gioco. Ci si spalanca verso l’altro per formare un tutt’uno con lui e poi tornare a essere, dopo l’esperienza condivisa, due persone diverse e più ricche di prima.

Se immaginiamo gli esseri umani come isole, possiamo intendere l’Accoglienza come la costruzione di ponti eretti sulla reciprocità di sentimenti, atteggiamenti e opinioni.

Ponti sostenuti e consolidati solo se accettiamo di liberarci da giudizi e valutazioni.

È solo dalla fatica e dal dolore dell’esperienza, infatti, che si può generare l’energia necessaria per attivare un processo di trasformazione.

Ognuno deve compiere uno sforzo, come quello di aprire la porta di casa a uno sconosciuto. Per farlo bisogna superare le proprie paure. Per conoscere, scoprire e, quindi, fare progressi è necessario predisporsi all’altro con la più preziosa delle qualità umane: la curiosità. Non bisogna fermarsi alla prima impressione o a sensazioni che ci invadono durante la conoscenza.

L’Accoglienza si valorizza quando l’incontro con l’altro è connotato dal desiderio di ricevere, dall’atteggiamento empatico. La ricchezza del confronto, così, mette in luce anche aspetti finora inesplorati della nostra anima.

Si tratta di un processo inverso a quello che stiamo vivendo oggi. Come un artigiano che, lavorando il legno, toglie le parti in eccesso per valorizzare la sua scultura, noi stessi dobbiamo tornare alla purezza, sottraendo il superfluo.

È necessario, insomma, dedicarsi alle relazioni reali. Vissute occhi negli occhi.

 

Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare;

ed ascoltare.

 Non basta accogliere l’altro. Per creare un rapporto autentico, bisogna anche sintonizzarsi sulle sue parole, dimenticando, almeno per un po’, noi stessi.

Proprio come quando cerchiamo una stazione radio, ci vuole impegno per trovare, salvare e far risuonare le onde di chi ci parla. Le sfumature da cogliere sono molte: emozionali, verbali, espressive.

L’Attenzione, però, è anche qualcosa di più. Il vocabolo proviene dal latino attentio che, a sua volta, deriva dal verbo attendere, nel senso di applicarsi a fare qualcosa, svolgere un compito.

Il concetto di Attenzione, tuttavia, racchiude quello di sorpresa. Si attiva quando qualcosa stravolge l’ordinario, costringendoci a mettere in atto lo sforzo di capire.

Quotidianamente, infatti, riceviamo un numero elevato di impulsi e stimoli. Ancor di più ne percepiamo quando navighiamo sul web. Il cervello applica una sorta di filtro che seleziona, in base all’importanza, le informazioni sulle quali concentrarsi. Il bombardamento di stimoli ricevuti sui social, tra notifiche, messaggi e conversazioni, annulla questa scala di precedenza. Tutto va fruito subito e richiede la nostra Attenzione.

L’effetto sorpresa, però, funziona anche in questo flusso continuo di informazioni. Qualcosa di nuovo e inaspettato catalizza l’Attenzione. Sempre.

Nonostante, quindi, anche online esistano l’Accoglienza e l’Attenzione, manca l’ultima A: quella che determina la vera essenza della qualità di ogni relazione umana.

 

Amo ascoltare. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente.

 Anche l’Ascolto è attivato dalla curiosità. Una vera e propria ricerca del senso del linguaggio altrui. Come se ogni nostra conversazione iniziasse con «fammi capire meglio, per favore». In questo modo, accettiamo un tacito accordo con l’interlocutore finalizzato al chiarimento reciproco.

La conversazione con l’altro diventa, così, la dimostrazione dell’interesse verso il significato della comunicazione. A rafforzare questo processo c’è la certezza che più comprendiamo, più ci arricchiamo.

La tensione a capire l’altro, infatti, è un processo a catena di risposte in grado di svelarci parti inespresse di noi.

Emblemi nella cultura popolare sono lo Specchio delle Brame[2], come e soprattutto il racconto de Le mille e una notteAladino e la lampada meravigliosa[3]. L’oggetto e il protagonista sembrano dire che, nella profonda comprensione di ciò che sognano le persone, c’è già la realizzazione del desiderio. Con il rispettivo riflesso e sortilegio, si mette esclusivamente in atto l’Ascolto di queste richieste.


Caro Giovanni

stamattina in classe alcune mie alunne hanno presentato il libro "Papà mi connetti?" ai compagni, attraverso un lavoro multimediale ben costruito. 

Eh, sì, non ci siamo più sentiti, ma ne approfitto per comunicarle che ho apprezzato la pubblicazione e consigliato la lettura ai ragazzi i quali, durante la pausa natalizia, hanno acquistato una quindicina di copie su Amazon. Perché fossero spronati a leggerlo, ho detto loro che avrebbero potuto sostenere una verifica orale sulle tematiche trattate che ben si inseriscono nel programma di educazione civica (Area Cittadinanza Digitale). 

Stamattina dunque abbiamo parlato di lei, dedicando due ore di lezione ai contenuti del libro, in particolare, alle patologie da connessione.

Convinta di farle cosa gradita, ho ritenuto doveroso comunicarglielo. 

Un saluto, Pia

PAPÀ MI CONNETTI su Amazon




martedì 19 settembre 2023

TUTTI I LIBRI DI GIOVANNI TOMMASINI. Pagine d'amore per mio figlio Le mie prime 800 pagine.

 


PAGINE D'AMORE PER MIO FIGLIO:

TUTTI I LIBRI DI GIOVANNI TOMMASINI IN UN UNICA RACCOLTA




Una antologia necessaria. Per vivere sempre meglio le due piattaforme social che pare stiano diventando sempre meno frequentate.
L'Altro è la Realtà.
Questi i testi inseriti in questa collana:
- Il sogno Americano del Tomato Baseball Club. Piccoli inconsapevoli eroi del baseball.
- La musicalità del silenzio. Il nostro autismo e quello del mondo attorno a noi.
- Emozioni e Parole. La scrittura emotiva. Leggere rende liberi, scrivere felici.
- Una vita senza. Una storia di quotidiana resilienza.
- L'Ultima lettera alla mia prima fidanzata.
- Papà mi connetti. La perenne connessione e il futuro delle nuove generazioni.
- Terra battura. Essere vivi e scendere a rete. Questa la felicità.
- Panico ben temperato.
- Il virus siamo noi. Riflessioni in quarantena.

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GIOVANNI E IL RISCATTO DELLA LETTERATURA
Nessuno sceglie quando venire al mondo.
Così come nessuno decide quando lasciarlo.
È possibile che, lungo il sentiero della propria vita, si possano raccogliere, nel cestello del proprio vissuto, tutte quelle esperienze che, una volta poste in esame sopra un tavolo al ritorno a casa, si rivelano per quella cardinalità che è tipica delle parabole, delle favole antiche e degli insegnamenti, coniati da un senso profondo del quale è impossibile scorgere il fondo?
È una domanda antica e permeante, soffusa e spietata, che intercede qualsiasi pensiero non appena lo scrivano, in qualunque parte del mondo esso si trovi, si segga sulla sua seggiola ed abbia modo di impugnare la penna.
Quanto è fattibile la misurazione del loro riverbero effettivo? La vibrazione innestata avrà una valenza a lungo gettito?
Verrà ascoltata?
Può davvero, la singola esperienza vissuta e respirata nell'intimo, protrarsi oltre la bolla dell'individuale ed andare ad influenzare concretamente il mondo altrui?
È su queste basi che, al primo acchito, il nuovo lettore si approccia a Giovanni Tommasini; perché la medesima domanda, di riflesso, se la pone soprattutto lui, cliente finale: quanto ha peso il testo che leggerò? Mi fornirà quelle soluzioni a cui tendenzialmente punto, quando attingo ad un'opera letteraria, artistica, scientifica, comunque modellata dall'uomo?
Perché è inevitabile affermarlo: l'essere umano è alla assidua ricerca del proprio simile, ovunque esso sia; in modo costante, instancabile, seguendo quel flusso spesso e non misurabile, infinito come il tempo, dettato dal suo stesso istinto recondito. E l'opera d'arte, etimologicamente ideata e gestita dalle braccia, costituisce, senza dubbio fatto, l'agente artificiale di un pensiero, di un concetto immesso dall'Altro; un canale di comunicazione espresso ed inserito nella realtà.
Una liberazione, come riterrebbe Tommasini.
Perché il cammino che ha portato l'autore al compimento della collana che reggete fra le mani, non è avvenuto in un contesto regolare e ovattato, fra muri intonacati di rosa, punteggiati da quadri con riposanti paesaggi agricoli, innanzi ad uno scrittoio di mogano orlato di bordi antiurto e la sicurezza di un paio di imposte sigillate ed un termosifone acceso: Giovanni, educatore di una casa famiglia nel primo entroterra genovese che ha vissuto la propria città fin da bambino nel suo cuore più fibroso e reale, è, a tutti gli effetti, un sopravvissuto. Intellettuale, verrebbe da aggettivare.

Nato dalla parte nascosta dell'utero, sfociò dal corpo di sua madre come una spiazzante sorpresa; “peloso” e “irrequieto”, espresse ben presto la sua impreparazione al soggiorno su questo mondo mordendo e pestando, rispondendo a tono e chiudendo con tonfi secchi i libri di scuola.
“Ingestibile!”, “Particolare!”. Le insegnanti gli affiliarono un profilo da somaro tale che permisero al padre, dirigente di banca, di mantenere, assieme alla anaffettiva madre, un trattamento esclusivo nei suoi confronti non comunque dissimile da quello che già utilizzava nei giorni buoni. E mentre la sorella stava a guardare, strane voci iniziavano a circolare sulla testa del fratello gemello...

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PANICO BEN TEMPERATO 

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L'amor proprio e come mi ha salvato la vita.

Come vivere consapevolmente, storicizzare e neutralizzare i prodromi del panico.
Ci sono in noi esperienze passate che se non recuperate vanno in automatico ad alimentare tutto ciò da cui siamo scappati. Può rappresentare la sfida di una vita l'affrontare coraggiosamente quell'altrove che tutto vorremmo piuttosto che incontrare e rivivere. Paradossalmente più rimandiamo questo appuntamento più il nostro corpo ci chiederà, nelle forme più diverse e deflagranti, di riprendere a ritroso il cammino.
Il panico può essere nostro alleato, il corpo chiede di fermarsi per trovare "le parole per viverlo".
Siamo fuggiti da quella casa, quelle case, anche se i loro protagonisti continuano a dominare su noi stessi.
Si può tornare, entrare, mettersi in contatto, coraggiosamente trovare le parole per tradurre un'antica male dizione per riprendere, stavolta e per sempre, il cammino, nel sentiero della bene dizione.

„Gli dei di una volta, perso l'incanto e assunte le sembianze di potenze impersonali, escono dai loro sepolcri, aspirano a dominare sulla nostra vita e riprendono la loro lotta eterna.“ — Max Weber

L'immagine di copertina dal titolo EXP_0152.RAW è stata realizzata da Maurizio Sapia.

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Perché vivevo il tennis.
Cioè la vita vissuta, prima di esserne definitivamente rapito.
Otto campi da tennis, un salice piangente che ti accoglieva all’uscita del bar di fronte ai due campi centrali, sempre pronto ad accogliere chi avesse bisogno di una pausa dal sole e dalle fatiche che quella terra rossa pretendeva... il paradiso terrestre ai miei piedi.

Il mio nuovo libro è realtà.

TERRA BATTUTA
Essere vivi e scendere a rete. Questa la felicità.

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Un omaggio e ringraziamento al tennis e i suoi protagonisti e cantori.

Una breve presentazione:

In TERRA BATTUTA il tennis viene ad assumere il tono di una allegoria e un inno alla vita.

Lo sfondo e il pre testo sul quale narrare una storia di vita apparentemente ingiocabile, all'interno della quale cercare, trovare e aprire, quello scrigno in cui sono custoditi i momenti migliori vissuti, alle volte dimenticati, ma sempre in noi.

Sogni, miti, passioni, nel ricordo delle imprese degli eroi di questo meraviglioso sport e dei suoi due più mirabili cantori.

Impronte preziose da portare alla consapevolezza,

Per far risplendere, in tutti noi, quella luce che ha permesso di credere che la vita si può giocare, scendendo a rete, con la voglia di affrontare la realtà che l'Altro ci riproporrà nella risposta al nostro servizio di rimessa in gioco.



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"STORIE D'AUTISMO QUOTIDIANO"

TESTIMONIANZE DI VITA VISSUTA ALL'INTERNO DELLO "SPETTRO AUTISTICO"

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Un muro bianco, di fronte a me un bambino bellissimo con un bacchetta da direttore d'orchestra in mano, perso nel silenzio, in una melodia che solo lui percepiva.
Ai piedi del suo letto, di fronte a me le sue gesta per incoraggiare chi non seguiva la sua direzione, e sgridare chi stonava e non lo capiva, l'aria era offesa dalle sue sferzate per rendere la sinfonia sempre più coinvolgente.
Un'esperienza rara come una ferita, stavo iniziando a percepire la musicalità di quel silenzio, fecondato dalla sua disperata voglia di essere un unica cosa con quello spazio e quel tempo.
Questo bambino bellissimo...
Impegnarsi, perdersi nella musicalità del silenzio falciato dalle sue stilettate, i suoi movimenti nell’aria dolci e, improvvisamente, violenti. La sua “bacchetta magica”.
Non stavo male.
Non subivo il dramma dell’incapacità di vivere “normalmente”. Accettavo con amore l’'essere' di Cesare. Mi sentivo naturalmente vicino a lui.
Quelle ore le vivevo totalmente.
Mi sentivo fortunato: guardavo lui, vedevo me. Anche a me non era mai importato altro.

Ognuno il suo mondo.

Ma il problema era proprio come stare al mondo, visto che ci era stato insegnato un unico modo: la sopravvivenza con tutto ciò che ci sta intorno.

E il resto?
Eravamo noi.