Recensione di Maria Teresa De Donato
Sentimenti,
percezioni, sensazioni... i ricordi che scorrono alla velocità della luce, così
come altrettanto acuta è la sofferenza vissuta, accumulata e che ha
attanagliato per decenni.
Lo
stile è scorrevole, poetico e altrettanto intenso. Ogni parola ed espressione sono accuratamente
ricercate, proprio come avrebbe fatto un Pittore per trovare la tonalità più
adatta per rappresentare ogni minimo dettaglio del quadro che avrebbe
realizzato: un quadro triste anche se, paradossalmente, di una bellezza
struggente.
Il
linguaggio, come in ogni produzione letteraria di Giovanni Tommasini, Autore di
Panico ben temperato, è armonico e al tempo stesso accompagnato da una
profondità di pensiero, capacità di analisi e da altrettanta emotività che lui cerca
a volte di tenere a bada e altre la lascia straripare dagli argini mentre la sua
mente si immerge completamente nei ricordi: il tutto e il nulla, la perfezione
e l’inferno, la gioia e la più atroce sofferenza, tutto e il contrario di tutto
è il cocktail di cui si è nutrito e che ha rappresentato la sua infanzia e
adolescenza – terrificante e straordinariamente attraente... una droga tossica
di cui liberarsi e senza la quale non si poteva, tuttavia, vivere.
C’è
una risposta a tutte le nostre domande e soprattutto a quella legata al ‘Perché’
di tanta sofferenza, delle tante botte e violenze subite proprio da chi avrebbe
dovuto proteggerci, difenderci e amarci?
Probabilmente
no. Ognuno ha fatto ciò che era in grado
di fare. Se fosse stato capace di fare
di meglio, di amare se stesso e proiettare altrettanto amore sui figli, di
tenere a bada i proprio demoni interiori lo avrebbe fatto.
L’Amore,
i sogni, le delusioni, la ricerca di se stessi e, soprattutto, il recupero
di se stessi che porti a vivere una Vita degna di essere definita tale,
sono i temi predominanti di questo memoir di Giovanni Tommasini. Contemporaneamente, la presa di coscienza e il
fare i conti con la propria emotività e sensibilità diventano strumento di
liberazione e guarigione da un passato sofferto e che non permetteva di ‘prendere
il volo’ e di godere appieno delle bellezze della Vita.
Panico
ben temperato è un libro stupendo
la cui lettura consiglio a tutti, scritto da un Autore ed Educatore in grado di
rapportarsi con il pubblico di lettori, così come con ogni suo interlocutore,
grazie a una profondità di pensiero, estrema sensibilità e immensa empatia per
l’altrui sofferenza.
Recensione di Francesca Gabrielli.
Il libro offre una profonda e toccante introspezione nella vita dell'autore, che ha affrontato numerose difficoltà tra violenze subite da bambino, la perdita della madre durante la pandemia e la lotta per suo figlio. Si tratta di episodi dolorosi, ma l'autore riesce a raccontarli con una grande sensibilità e, a tratti, anche con una nota di leggerezza e ironia.
Un aspetto fondamentale del libro è il percorso di supporto psichiatrico che l'autore ha intrapreso per gestire il proprio panico e dolore. Questo decennale cammino viene descritto in modo dettagliato, mostrando i successi e gli insuccessi nel trovare un equilibrio nella sua vita.
Uno dei momenti più intensi del libro è l'addio alla madre, avvenuto durante il periodo di lockdown dovuto alla pandemia. L'autore riesce a trasmettere tutto il suo dolore e cordoglio attraverso splendide parole e riflessioni, citando anche il finale del film "La messa è finita" di Nanni Moretti che aggiunge una dimensione emotiva ancora più profonda al racconto.
Un altro elemento interessante e originale del libro è il dialogo "immaginario" tra l'autore e Fabio Fazio, noto conduttore televisivo italiano. Questo dialogo si sviluppa in modo inaspettato, delicato e divertente, con i due personaggi che si scambiano i ruoli e si muovono come ballerini tra citazioni di noti cantautori italiani. Questa scelta narrativa aggiunge dinamicità e vivacità al libro.
Infine, è impossibile non menzionare la forte dichiarazione d'amore dell'autore nei confronti del figlio. Questo sentimento traspare nelle vicissitudini raccontate e nei momenti difficili affrontati dall'autore. È un elemento determinante che conferisce un senso di speranza e di forza al libro nel suo complesso.. La sua scrittura è sincera ed empatica, trasmettendo al lettore tutta l'angoscia e la frustrazione che accompagnano la separazione dei genitori e la lotta del padre per riavere suo figlio.
L'amore del padre per il figlio è il filo conduttore di tutto il racconto. Nonostante le difficoltà e l'ostacolo rappresentato dalla madre che segnala il padre ai servizi sociali, l'amore del protagonista fa da traino e lo spinge a non arrendersi mai. Si percepisce una forza e una determinazione incredibili, che lo aiutano ad affrontare anche il periodo drammatico della CTU, consulenza tecnica d’ufficio con il consulente del tribunale insieme al figlio, con grande coraggio.
La burocrazia viene descritta secondo il pensiero kafkiano come una sorta di entità sovrannaturale che potrebbe determinare i destini delle persone.Ma è solo una provocazione per rimarcare come siano la cattiveria, il tornaconto, la volontà di incutere paura e minacciare delle persone a mettere in.moto la burocrazia. L'autore, con grande maestria, riesce a far emergere tutta la gamma di emozioni che attraversano il protagonista: l'angoscia, la rabbia, la disperazione, la speranza. Si avverte un senso di confusione e smarrimento, tipico delle persone che si trovano in situazioni irrisolte delle quali rischiano di essere ostaggi anche per sempre. Non ci sono facili soluzioni o finali felici in questa storia, ma questa mancanza di risoluzione è decisamente realistica e rende il racconto ancora più potente.
La scrittura dell'autore è coinvolgente e toccante. Ogni pagina è intrisa di sentimento, di passione e di una profonda empatia. Il suo stile è delicato ma incisivo, capace di catturare l'attenzione del lettore fin dalle prime righe.
Consiglio vivamente questo libro a chiunque sia interessato a una lettura toccante e realistica sulla forza dell'amore e sulla difficoltà di affrontare l'esistenza, a chi sia interessato a profonde riflessioni sulla vita e sulla resilienza umana.
Maria Teresa De Donato, Ph.D.
Author, Freelance Journalist, Blogger, Naturopath
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Perché vivevo il tennis.
Cioè la vita vissuta, prima di esserne definitivamente rapito.
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Essere vivi e scendere a rete. Questa la felicità.
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Un omaggio e ringraziamento al tennis e i suoi protagonisti e cantori.
Una breve presentazione:
In TERRA BATTUTA il tennis viene ad assumere il tono di una allegoria e un inno alla vita.
Lo sfondo e il pre testo sul quale narrare una storia di vita apparentemente ingiocabile, all'interno della quale cercare, trovare e aprire, quello scrigno in cui sono custoditi i momenti migliori vissuti, alle volte dimenticati, ma sempre in noi.
Sogni, miti, passioni, nel ricordo delle imprese degli eroi di questo meraviglioso sport e dei suoi due più mirabili cantori.
Impronte preziose da portare alla consapevolezza,
Per far risplendere, in tutti noi, quella luce che ha permesso di credere che la vita si può giocare, scendendo a rete, con la voglia di affrontare la realtà che l'Altro ci riproporrà nella risposta al nostro servizio di rimessa in gioco.
Un muro bianco, di fronte a me un bambino bellissimo con un bacchetta da direttore d'orchestra in mano, perso nel silenzio, in una melodia che solo lui percepiva.
Ai piedi del suo letto, di fronte a me le sue gesta per incoraggiare chi non seguiva la sua direzione, e sgridare chi stonava e non lo capiva, l'aria era offesa dalle sue sferzate per rendere la sinfonia sempre più coinvolgente.
Un'esperienza rara come una ferita, stavo iniziando a percepire la musicalità di quel silenzio, fecondato dalla sua disperata voglia di essere un unica cosa con quello spazio e quel tempo.
Questo bambino bellissimo...
Impegnarsi, perdersi nella musicalità del silenzio falciato dalle sue stilettate, i suoi movimenti nell’aria dolci e, improvvisamente, violenti. La sua “bacchetta magica”.
Non stavo male.
Non subivo il dramma dell’incapacità di vivere “normalmente”. Accettavo con amore l’'essere' di Cesare. Mi sentivo naturalmente vicino a lui.
Quelle ore le vivevo totalmente.
Mi sentivo fortunato: guardavo lui, vedevo me. Anche a me non era mai importato altro.
Ognuno il suo mondo.
Ma il problema era proprio come stare al mondo, visto che ci era stato insegnato un unico modo: la sopravvivenza con tutto ciò che ci sta intorno.
E il resto?
Eravamo noi.
L'ULTIMA LETTERA ALLA MIA PRIMA FIDANZATA
La felicità non si vive, si ricorda.
Un libro, questo, che va letto con il cuore completamente aperto.
L’autore fin dalle prime frasi ci spalanca con incantevole maestria ad una sensibilità estrema e delicata, che va letta come una lunga cantilena in cui farsi avvolgere dalla sensazioni e riporre noi stessi mentre la leggiamo.
Le pagine alternano la consapevolezza matura- derivante dalla conoscenza del tempo che è stato- alla dolce ingenuità dei sogni- strascico dell’incoscienza di un tempo che si spera mai passato, quello della nostra gioventù- in un assolo di voce maschile che rincorrere quella femminile, ricordando Michela.