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giovedì 23 novembre 2023

E' POSSIBILE VIVERE PENSIERI VIOLENTI SENZA METTERLI IN ATTO?

 


Giovanni Tommasini


A PROPOSITO DI COME TROVARE E COSTRUIRE PERCORSI DA INTRAPRENDERE IN ALTERNATIVA A REAZIONI VIOLENTE. #femminicidio #violenzadigenere #relazionitossiche #Turetta

E' possibile tradurre pensieri violenti in propositi di salvezza del tutto? Mettendo sempre di fronte a sè "un bene superiore"? LA VITA.

Ho restituito il percorso fatto per salvare sia "il bambino che l'acqua sporca".

Nel mio ultimo libro PANICO BEN TEMPERATO.

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Un estratto dal testo:

La tua parte la dobbiamo portare in... in un altrove sconosciuto, non ancora vissuto. A un’altezza da cui puoi guardare e arrabbiarti, ma... ma non agire. Per salvare tutti. Ognuno ha le sue volontà di rivalsa, una prospettiva da far decantare. Giovanni, lascia sul terreno una visione nuova e più coraggiosa... quella della complessità del tutto.

EDUCAZIONE AFFETTIVA, EMOTIVA E RELAZIONALE. TRE LIBRI.

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Ma di un tutto in movimento, di ciò che si tenta e si può innescare. Puoi prenderti carico sia del bambino sia dell’acqua sporca, ma senza farne bere un goccio a tuo figlio. Solo tu puoi farlo... almeno tu. Io, ora, sono qui per aiutarti a farlo.

Questo è ciò che il suo sguardo mi ha comunicato, poco prima che io richiuda gli occhi in un ampio respiro. Mi ritrovo su un altro marciapiede, il portone del retro della chiesa richiuso alle mie spalle.

Ma niente sta più a formicolare, in nessuna parte del mio corpo.

Accoglienza, attenzione, ascolto... Sono le pareti di quella nuova voce che, passo dopo passo, sta nascendo in me. Si fa avanti nuovamente quell'alveo, fioritomi nel cuore già alle spalle di quel cancello serrato presso la casa di mia moglie, dopo quel saluto al figlio negato. Fa breccia e, di nuovo, lavorare su una visione diversa delle cose, reggente tutte le tensioni, tutte le mancanze, ogni rabbia... rivolgendole verso l'energia vitale.

Ancora una volta, le spalle che si sollevano e lo sterno che si amplia in un sospiro profondo, mi fanno prendere la decisione di star fermo e di dare corso agli eventi, lasciando al proprio destino tutte le parti in gioco.

Unica possibile risposta... Non mi farò saltare in aria.

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Giovanni Tommasini


domenica 8 ottobre 2023

UNA PROVOCATORIA LIBERTÀ IN CERCA DI SCRITTURA. LA FELICITA' DI VIVERE LA COMPLESSITA'

 



LA FELICITA' DI VIVERE LA COMPLESSITA'


IN CERCA DI SCRITTURA

(UNA PROVOCATORIA LIBERTÀ)

 

«Non capisco tutto e mi rallegro
persino che il mondo come un oceano
inquieto superi la mia capacità
di comprendere il senso dell’acqua, della pioggia,
 dei bagni nello Stagno del Fornaio […]»
Ode alla molteplicità, A. Zagajewski
 
La scrittrice austriaca Ingerborg Bachmann in alcune interviste rilasciate fra gli anni ’50 e ’70 ci ha lasciato alcune importanti considerazioni circa il compito poetico del pensiero. Un compito che dovrebbe portare nelle esperienze di dolore degli altri perché «il pericoloso sviluppo di questo mondo moderno glielo sottrae» (Bachmann, In cerca di frasi vere, Bari, Laterza, 1989, p.7). Si tratta non solo di un’intenzione autobiografica o intimista di dialogo interiore, ma ci permette di portare attenzione ad una possibile necessità etica, e se vogliamo politica, di una scrittura del “ricordo”. Lo sforzo è dunque quello di appellarsi, attraverso l’esistenza del linguaggio, alla “conoscenza” di quello spazio in cui non si ha solo una vicinanza empatica o d’immedesimazione con il proprio vissuto, ma si raccoglie una rilevanza collettiva della memoria.
La storia dell’altro, oppure propria, diviene così ricordata e non rimossa. Riportata a quel dialogo “comune” che riarticola il senso delle cose, ne fa scaturire margini oscuri, ne assopisce o risveglia alcune luminosità e presuppone la presenza dell’altro o dell’altra, per essere ascoltata, compresa, trasformata. Dopotutto per scrivere ci si ferma a pensare, si scopre la fatica di trovare alcune parole che “sappiano dire” palesando così continuamente la paradossalità “dell’impossibilità di dire”, un gioco straordinario che ci mette nella disposizione a riconoscere che non siamo soli a parlare con noi stessi ma già plurali e insieme ad altri.
Non cloni ma meticci. Quell’origine, quel germoglio che non si riproduce per spezzamento e innesto ma diviene per fortuna nascita, molteplicità di nascite che, come diceva Arendt, è condizione dell’umanità: essere nati per cominciare. Quando si va in cerca di scrittura forse si ricerca proprio questa generatività.
Una provocatoria libertà simile a quella di essere nascenti, non solo frammenti di un mondo capitati qui per caso, ma tessuti intrecciati che disperdono autorità, poteri, ruoli e identità.
La scrittura, così, ci concede quella libertà di fare esperienza di quell’insieme di eventi attraverso il pensare e, anche se già pensati, diventando così, felicemente, un qualcosa di più, di ulteriore, in cui siamo anche di più di quello che abbiamo detto o stiamo per dire.
Sperimentiamo così la posizione, lo sguardo e il punto di vista di chi «stava riuscendo a capire le parole, tutto quello che contenevano. Ma, nonostante tutto, aveva la sensazione che possedessero una porta falsa, nascosta attraverso cui sarebbe trovato il loro vero significato» (C. Lispector, Vicino al cuore selvaggio, Adelphi Milano, 2003, p. 54). Un rischio, come quello di essere liberi ripercorrendo e trovando legami, un’esposizione che richiede la nostra attenzione a trovare temporaneamente una forma.
Non si può certo sottovalutare che la scrittura resti, sia lì, presente, nero su bianco, irrimediabilmente definita. Questa presunta fermezza è tuttavia un margine, una soglia, un confine che di qua ha la mano della scrittrice o dello scrittore e di là lo sguardo della lettrice o del lettore. Grazie a questi personaggi quel confine diviene labile, lì in quel punto nasceste, grazie alla magia di saper concatenare lettere e di vedere questo concatenamento, diviene la possibile ri-articolazione di mondi.
Il lettore o la lettrice vedrà una forma scritta che potrà deformare e portare nel mondo con un giudizio, un punto di vista, un sentimento che la farà essere ancora. In questo senso, quella forma che tanto si va cercando è fragile, effimera, temporanea, anche se scritta.

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La scrittura è un lungo discorso di cui, diceva W. Szymborska: «la prima frase è sempre la più difficile» e nasce, a mio avviso, da un qualcosa che “non so”, da una continuazione di domande, di imprecisioni e inciampi che temo, oggi, la contemporaneità voglia racchiudere in margini di sicurezza, domicilio e perfezione. La scrittura non sta al passo coi tempi, rallenta, aumenta, disloca asettiche verità, s’infila negli interstizi della realtà provando a confonderla per comprenderla. Quando questo accade è un improvviso momento, un momento di cui non si conosce mai l’inizio preciso ma che necessita di spazio per far sì che esso possa cominciare.
C’è qualcosa in cui credere e da perdonare nella scrittura è «la fede nelle forze segrete che sonnecchiano in ogni cosa e la convinzione che con l’aiuto di parole opportunamente scelte riuscirà a risvegliarle: il poeta (o la scrittrice aggiungo io) può anche aver conseguito in modo trionfale sette lauree, ma nel momento in cui si mette a scrivere l’uniforme del razionalismo comincia a stargli stretta. Ecco che allora si agita sbuffa, slaccia un bottone dopo l’altro, finché non salta fuori dal suo vestitino […]» (A. Bokont, J.Szczesna, Cianfrusaglie dal passato, Adelphi, Milano, 2015, p.172).



Paradossale, inoltre, che chi scrive quanto appena detto vada poi in cerca di dialogo, di pensiero non scritto, attraverso una pratica di filosofia insieme all’infanzia e ad altri mondi nell’idea che questo possa permettere un proposito, quello della pluralità, l’insieme, che anche qui «concede il cominciamento, ciò che permette l’interruzione dell’ordinarietà, la sospensione della metodicità, l’emergere di sensibilità rivoluzionarie»
(a cura di S. Bevilacqua, P. Casarin, Philosophy for children in gioco. Esperienze di Filosofia a scuola: le bambine e i bambini (ci) pensano, Mimesis, Udine/Milano, 2016, p.61).



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