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TUTTI I LIBRI E GLI EBOOK DI GIOVANNI TOMMASINI. Scheda di presentazione. Copertina, sinossi, recensioni, link per l'acquisto.
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QUOTIDIANA RESILIENZA. PANICO BEN TEMPERATO, UNA VITA SENZA, PICCHIAMI. LE PAROLE PER BENE DIRE UNA MALE DIZIONE.
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QUOTIDIANA RESILIENZA. PANICO BEN TEMPERATO, UNA VITA SENZA, PICCHIAMI. LE PAROLE PER BENE DIRE UNA MALE DIZIONE.
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LE NUOVE FORME DI DIPENDENZA. LA PERENNE CONNESSIONE E LA PERDITA DELLA RELAZIONE CON L'ALTRO E LA REALTA'.
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LO SPETTRO AUTISTICO. LIBRI EBOOK. STORIE DI AUTISMO QUOTIDIANO. TESTIMONIANZE.
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UN VIAGGIO INDIMENTICABILE A ROMA. UN PERCORSO EMOZIONALE PER UNA VACANZA NELLA CITTA' ETERNA. 22 METE CONSIGLIATE E RACCONTATE.
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RACCONTI DAL CARCERE. CINQUE LIBRI PER VIVERE LA VITA CARCERARIA SOTTO OGNI DECLINAZIONE POSSIBILE.
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CULTURA SPORTIVA. QUATTRO LIBRI PER TORNARE A VIVERE LO SPORT ALLEGORIA E INNO ALLA VITA.
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AUTISMO E EMPATIA. E' POSSIBILE. UNA LETTERA SPIEGA COME SI POSSA "SOFFRIRE ASSIEME".
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DUE MANUALI DI SCIENZE INFERMIERISTICHE. IL NURSING NARRATIVO E L'ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO IN OSPEDALE.
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RACCOLTO POETICO. POESIA SULL'ACQUA & POESIA SUI SETTE VIZI. GIOVANNI TOMMASINI PRODUZIONI.
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RICKY RAGE. UN ARTISTA A TUTTO TONDO. Musica, parole, emozioni, e tre romanzi.
UNA PROVOCATORIA LIBERTÀ IN CERCA DI SCRITTURA. LA FELICITA' DI VIVERE LA COMPLESSITA'
«Non capisco tutto e mi rallegro
persino che il mondo come un oceano
inquieto superi la mia capacità
di comprendere il senso dell’acqua, della pioggia,
dei bagni nello
Stagno del Fornaio […]»
Ode alla molteplicità, A. Zagajewski
La scrittrice austriaca
Ingerborg Bachmann in alcune interviste rilasciate fra gli anni ’50 e ’70 ci ha
lasciato alcune importanti considerazioni circa il compito poetico del
pensiero. Un compito che dovrebbe portare nelle esperienze di dolore degli
altri perché «il pericoloso sviluppo di questo mondo moderno glielo sottrae»
(Bachmann, In cerca di frasi vere, Bari, Laterza, 1989, p.7). Si tratta non solo
di un’intenzione autobiografica o intimista di dialogo interiore, ma ci
permette di portare attenzione ad una possibile necessità etica, e se vogliamo
politica, di una scrittura del “ricordo”. Lo sforzo è dunque quello di
appellarsi, attraverso l’esistenza del linguaggio, alla “conoscenza” di quello
spazio in cui non si ha solo una vicinanza empatica o d’immedesimazione con il
proprio vissuto, ma si raccoglie una rilevanza collettiva della memoria.
La storia dell’altro, oppure
propria, diviene così ricordata e non rimossa. Riportata a quel dialogo
“comune” che riarticola il senso delle cose, ne fa scaturire margini oscuri, ne
assopisce o risveglia alcune luminosità e presuppone la presenza dell’altro o
dell’altra, per essere ascoltata, compresa, trasformata. Dopotutto per scrivere
ci si ferma a pensare, si scopre la fatica di trovare alcune parole che
“sappiano dire” palesando così continuamente la paradossalità
“dell’impossibilità di dire”, un gioco straordinario che ci mette nella
disposizione a riconoscere che non siamo soli a parlare con noi stessi ma già
plurali e insieme ad altri.
Non cloni ma meticci.
Quell’origine, quel germoglio che non si riproduce per spezzamento e innesto ma
diviene per fortuna nascita, molteplicità di nascite che, come diceva Arendt, è
condizione dell’umanità: essere nati per cominciare. Quando si va in cerca di
scrittura forse si ricerca proprio questa generatività.
Una provocatoria libertà
simile a quella di essere nascenti, non solo frammenti di un mondo capitati qui
per caso, ma tessuti intrecciati che disperdono autorità, poteri, ruoli e
identità.
La scrittura, così, ci concede
quella libertà di fare esperienza di quell’insieme di eventi attraverso il
pensare e, anche se già pensati, diventando così, felicemente, un qualcosa di
più, di ulteriore, in cui siamo anche di più di quello che abbiamo detto o
stiamo per dire.
Sperimentiamo così la
posizione, lo sguardo e il punto di vista di chi «stava riuscendo a capire le
parole, tutto quello che contenevano. Ma, nonostante tutto, aveva la sensazione
che possedessero una porta falsa, nascosta attraverso cui sarebbe trovato il
loro vero significato» (C. Lispector, Vicino al cuore selvaggio, Adelphi
Milano, 2003, p. 54). Un rischio, come quello di essere liberi ripercorrendo e
trovando legami, un’esposizione che richiede la nostra attenzione a trovare
temporaneamente una forma.
Non si può certo sottovalutare
che la scrittura resti, sia lì, presente, nero su bianco, irrimediabilmente
definita. Questa presunta fermezza è tuttavia un margine, una soglia, un
confine che di qua ha la mano della scrittrice o dello scrittore e di là lo
sguardo della lettrice o del lettore. Grazie a questi personaggi quel confine
diviene labile, lì in quel punto nasceste, grazie alla magia di saper concatenare
lettere e di vedere questo concatenamento, diviene la possibile
ri-articolazione di mondi.
Il lettore o la lettrice vedrà
una forma scritta che potrà deformare e portare nel mondo con un giudizio, un
punto di vista, un sentimento che la farà essere ancora. In questo senso,
quella forma che tanto si va cercando è fragile, effimera, temporanea, anche se
scritta.
La scrittura è un lungo
discorso di cui, diceva W. Szymborska: «la prima frase è sempre la più
difficile» e nasce, a mio avviso, da un qualcosa che “non so”, da una
continuazione di domande, di imprecisioni e inciampi che temo, oggi, la
contemporaneità voglia racchiudere in margini di sicurezza, domicilio e
perfezione. La scrittura non sta al passo coi tempi, rallenta, aumenta, disloca
asettiche verità, s’infila negli interstizi della realtà provando a confonderla
per comprenderla. Quando questo accade è un improvviso momento, un momento di
cui non si conosce mai l’inizio preciso ma che necessita di spazio per far sì
che esso possa cominciare.
C’è qualcosa in cui credere e
da perdonare nella scrittura è «la fede nelle forze segrete che sonnecchiano in
ogni cosa e la convinzione che con l’aiuto di parole opportunamente scelte
riuscirà a risvegliarle: il poeta (o la scrittrice aggiungo io) può anche aver
conseguito in modo trionfale sette lauree, ma nel momento in cui si mette a
scrivere l’uniforme del razionalismo comincia a stargli stretta. Ecco che
allora si agita sbuffa, slaccia un bottone dopo l’altro, finché non salta fuori
dal suo vestitino […]» (A. Bokont, J.Szczesna, Cianfrusaglie dal passato,
Adelphi, Milano, 2015, p.172).
Paradossale, inoltre, che chi
scrive quanto appena detto vada poi in cerca di dialogo, di pensiero non
scritto, attraverso una pratica di filosofia insieme all’infanzia e ad altri
mondi nell’idea che questo possa permettere un proposito, quello della pluralità,
l’insieme, che anche qui «concede il cominciamento, ciò che permette
l’interruzione dell’ordinarietà, la sospensione della metodicità, l’emergere di
sensibilità rivoluzionarie»
(a cura di S. Bevilacqua, P.
Casarin, Philosophy for children in gioco. Esperienze di Filosofia a scuola: le
bambine e i bambini (ci) pensano, Mimesis, Udine/Milano, 2016, p.61).
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