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sabato 25 novembre 2023
EDUCAZIONE AFFETTIVA, EMOTIVA E RELAZIONALE. TRE LIBRI.
domenica 8 ottobre 2023
UNA PROVOCATORIA LIBERTÀ IN CERCA DI SCRITTURA. LA FELICITA' DI VIVERE LA COMPLESSITA'
LA FELICITA' DI VIVERE LA COMPLESSITA'
IN CERCA DI SCRITTURA
(UNA PROVOCATORIA LIBERTÀ)
«Non capisco tutto e mi rallegro
persino che il mondo come un oceano
inquieto superi la mia capacità
di comprendere il senso dell’acqua, della pioggia,
dei bagni nello
Stagno del Fornaio […]»
Ode alla molteplicità, A. Zagajewski
La scrittrice austriaca
Ingerborg Bachmann in alcune interviste rilasciate fra gli anni ’50 e ’70 ci ha
lasciato alcune importanti considerazioni circa il compito poetico del
pensiero. Un compito che dovrebbe portare nelle esperienze di dolore degli
altri perché «il pericoloso sviluppo di questo mondo moderno glielo sottrae»
(Bachmann, In cerca di frasi vere, Bari, Laterza, 1989, p.7). Si tratta non solo
di un’intenzione autobiografica o intimista di dialogo interiore, ma ci
permette di portare attenzione ad una possibile necessità etica, e se vogliamo
politica, di una scrittura del “ricordo”. Lo sforzo è dunque quello di
appellarsi, attraverso l’esistenza del linguaggio, alla “conoscenza” di quello
spazio in cui non si ha solo una vicinanza empatica o d’immedesimazione con il
proprio vissuto, ma si raccoglie una rilevanza collettiva della memoria.
La storia dell’altro, oppure
propria, diviene così ricordata e non rimossa. Riportata a quel dialogo
“comune” che riarticola il senso delle cose, ne fa scaturire margini oscuri, ne
assopisce o risveglia alcune luminosità e presuppone la presenza dell’altro o
dell’altra, per essere ascoltata, compresa, trasformata. Dopotutto per scrivere
ci si ferma a pensare, si scopre la fatica di trovare alcune parole che
“sappiano dire” palesando così continuamente la paradossalità
“dell’impossibilità di dire”, un gioco straordinario che ci mette nella
disposizione a riconoscere che non siamo soli a parlare con noi stessi ma già
plurali e insieme ad altri.
Non cloni ma meticci.
Quell’origine, quel germoglio che non si riproduce per spezzamento e innesto ma
diviene per fortuna nascita, molteplicità di nascite che, come diceva Arendt, è
condizione dell’umanità: essere nati per cominciare. Quando si va in cerca di
scrittura forse si ricerca proprio questa generatività.
Una provocatoria libertà
simile a quella di essere nascenti, non solo frammenti di un mondo capitati qui
per caso, ma tessuti intrecciati che disperdono autorità, poteri, ruoli e
identità.
La scrittura, così, ci concede
quella libertà di fare esperienza di quell’insieme di eventi attraverso il
pensare e, anche se già pensati, diventando così, felicemente, un qualcosa di
più, di ulteriore, in cui siamo anche di più di quello che abbiamo detto o
stiamo per dire.
Sperimentiamo così la
posizione, lo sguardo e il punto di vista di chi «stava riuscendo a capire le
parole, tutto quello che contenevano. Ma, nonostante tutto, aveva la sensazione
che possedessero una porta falsa, nascosta attraverso cui sarebbe trovato il
loro vero significato» (C. Lispector, Vicino al cuore selvaggio, Adelphi
Milano, 2003, p. 54). Un rischio, come quello di essere liberi ripercorrendo e
trovando legami, un’esposizione che richiede la nostra attenzione a trovare
temporaneamente una forma.
Non si può certo sottovalutare
che la scrittura resti, sia lì, presente, nero su bianco, irrimediabilmente
definita. Questa presunta fermezza è tuttavia un margine, una soglia, un
confine che di qua ha la mano della scrittrice o dello scrittore e di là lo
sguardo della lettrice o del lettore. Grazie a questi personaggi quel confine
diviene labile, lì in quel punto nasceste, grazie alla magia di saper concatenare
lettere e di vedere questo concatenamento, diviene la possibile
ri-articolazione di mondi.
Il lettore o la lettrice vedrà
una forma scritta che potrà deformare e portare nel mondo con un giudizio, un
punto di vista, un sentimento che la farà essere ancora. In questo senso,
quella forma che tanto si va cercando è fragile, effimera, temporanea, anche se
scritta.
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La scrittura è un lungo
discorso di cui, diceva W. Szymborska: «la prima frase è sempre la più
difficile» e nasce, a mio avviso, da un qualcosa che “non so”, da una
continuazione di domande, di imprecisioni e inciampi che temo, oggi, la
contemporaneità voglia racchiudere in margini di sicurezza, domicilio e
perfezione. La scrittura non sta al passo coi tempi, rallenta, aumenta, disloca
asettiche verità, s’infila negli interstizi della realtà provando a confonderla
per comprenderla. Quando questo accade è un improvviso momento, un momento di
cui non si conosce mai l’inizio preciso ma che necessita di spazio per far sì
che esso possa cominciare.
C’è qualcosa in cui credere e
da perdonare nella scrittura è «la fede nelle forze segrete che sonnecchiano in
ogni cosa e la convinzione che con l’aiuto di parole opportunamente scelte
riuscirà a risvegliarle: il poeta (o la scrittrice aggiungo io) può anche aver
conseguito in modo trionfale sette lauree, ma nel momento in cui si mette a
scrivere l’uniforme del razionalismo comincia a stargli stretta. Ecco che
allora si agita sbuffa, slaccia un bottone dopo l’altro, finché non salta fuori
dal suo vestitino […]» (A. Bokont, J.Szczesna, Cianfrusaglie dal passato,
Adelphi, Milano, 2015, p.172).
Paradossale, inoltre, che chi
scrive quanto appena detto vada poi in cerca di dialogo, di pensiero non
scritto, attraverso una pratica di filosofia insieme all’infanzia e ad altri
mondi nell’idea che questo possa permettere un proposito, quello della pluralità,
l’insieme, che anche qui «concede il cominciamento, ciò che permette
l’interruzione dell’ordinarietà, la sospensione della metodicità, l’emergere di
sensibilità rivoluzionarie»
(a cura di S. Bevilacqua, P.
Casarin, Philosophy for children in gioco. Esperienze di Filosofia a scuola: le
bambine e i bambini (ci) pensano, Mimesis, Udine/Milano, 2016, p.61).
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lunedì 2 ottobre 2023
La realtà. Piattaforma social senza più follower.
IL FRASTUONO DEL MONDO COS'È,
CANTAVA PAOLO CONTE.
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Stiamo vivendo un momento storico in cui non si sente più "il frastuono del mondo". Il silenzio è sempre più assordante, sui treni, in pizzeria, persone perse nello schermo di un device.
Mio figlio nella primavera del 2013 mi chiese "papà mi connetti?" e non mi resi conto che tutto stava cambiando, l'altro iniziava a sparire, uno tsunami digitale stava per travolgere tutto e tutti.
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Per la prima volta nella storia, una rivoluzione tecnologica in meno di dieci anni ha ribaltato la quotidianità di ognuno di noi, eliminando l'unica piattaforma social con la quale noi, ultima generazione nata e cresciuta, per la maggior parte della nostra vita, off line, senza rete, abbiamo avuto a che fare : la realtà.
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La desertificazione culturale, lessicale, emotiva, che la perenne connessione produce, è un vero e proprio progetto strumentale alla riduzione dell'utente ad una mera protesi del device, in funzione di una vita fatta di una serie di "touch" indotti, finalizzati all'ordinazione di merci (il magazzino ha ormai sostituito il palmo della nostra mano) , pagamento di ricariche, per giochi, servizi, svuotando ogni "azione umana" di ogni contenuto relazionale, affettivo, reale.
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Libri e EBooks da una realtà dimenticata. Quella del "NOI", degli abbracci, delle passeggiate mano nella mano, gli occhi negli occhi dell'Altro.
Questo il futuro delle nuove generazioni.
Cosa possiamo fare noi ultima generazione nata, cresciuta, vissuta off line, nella realtà, con l'immagine di noi stessi riflessa nel volto dell'Altro?
Parliamone.....
Like addiction, challenge, nomofobia e vamping: sono le nuove patologie da iperconessione, rilevate da uno studio curato dall'Osservatorio nazionale adolescenza e condotto su 8.000 ragazzi a partire dagli 11 anni d'età. Dall'indagine, messa a punto anche in occasione del Safer Internet Day, emerge che il 98% tra i 14 e i 19 anni possiede uno smartphone personale già a 10 anni. Più i ragazzi sono piccoli, più hanno avuto precocemente tra le mani i vari strumenti tecnologici, sottolinea l'Osservatorio: il dato rilevante è che oltre 3 adolescenti su 10 hanno avuto modo di utilizzare uno smartphone direttamente nella primissima infanzia, con la possibilità anche di accedere liberamente a internet e alle applicazioni presenti nel telefono.
Tra i più giovani, l'età media dell’uso del primo cellulare, l’accesso a internet e l’apertura del primo profilo social si aggira intorno ai 9 anni. Circa 5 adolescenti su 10 dichiarano di trascorrere da 3 a 6 ore extrascolastiche con lo smartphone in mano, il 16% da 7 a 10 ore, mentre il 10% supera abbondantemente la soglia delle 10 ore. Il 95% degli adolescenti ha almeno un profilo sui social network, contro il 77% dei preadolescenti. Il primo è stato aperto intorno ai 12 anni e la maggior parte di loro arriva a gestire in parallelo 5-6 profili, insieme a 2-3 app di messaggistica istantanea.
Il fatto di avere una serie di applicazioni social sconosciute ai genitori - sottolinea l'Osservatorio - permette loro di essere meno controllati e più sicuri di poter anche osare, favorendo comportamenti come il sexting, cyberbullismo e diffusione di materiale privato in rete. Uno dei dati più allarmanti - evidenzia il report - è che il 14% degli adolescenti ha anche un profilo finto, che nessuno conosce o solo pochi, risultando quindi non controllabile dai genitori e nel contempo facile preda della rete del grooming (adescamento di minori online).
Sei adolescenti su dieci dichiarano di non poter più fare a meno di WhatsApp: il 99% lo utilizza ogni giorno, il 93% si scambia i compiti attraverso il gruppo-classe e il 70% chatta in maniera compulsiva. Per quanto riguarda i preadolescenti, invece, il 96% utilizza WhatsApp.
Quali sono gli effetti di questo essere sempre connessi? Il 'vamping', ossia la moda degli adolescenti di trascorrere numerose ore notturne sui social media, sembra diventata una vera e propria abitudine - denuncia l'Osservatorio - tanto che 6 su 10 dichiarano di rimanere spesso svegli fino all’alba a chattare, parlare e giocare, rispetto ai 4 su 10 nella fascia dei preadolescenti. La tendenza, invece che accomuna tutti i ragazzi è di tenere a portata di mano il telefono quasi tutto il giorno, notte compresa, fino al 15% che si sveglia quasi tutte le notti per leggere le notifiche e i messaggi, in modo da non essere tagliati fuori, altra patologia emergente legata all’abuso dello smartphone (Fomo - fear of missing out).
Gli adolescenti - allerta l'Osservatorio - sono alla continua ricerca di approvazione, che si raggiunge attraverso like e follower: per circa 5 su 10 è normale condividere tutto quello che si fa, comprese foto personali e private, mettendo tutto in vetrina, sottoponendolo alla severa valutazione della macchina dei 'mi piace'. Per oltre 3 adolescenti su 10 è importante il numero dei like ricevuti, che accrescono l’autostima, la popolarità e quindi la sicurezza personale. Ovviamente, vale anche il contrario,tanto che il 34% ci rimane molto male e si arrabbia quando non si sente apprezzato.
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venerdì 29 settembre 2023
IL PANICO PUO' ESSERE NOSTRO ALLEATO?
Come vivere consapevolmente, storicizzare e neutralizzare, i prodromi del panico?
Il panico può essere nostro alleato,
il corpo chiede di fermarsi per trovare
Traumi; ferite
emotive; una grande sofferenza interiore che affonda le radici nell’infanzia e,
paradossalmente, ha origine proprio dalla famiglia, da quel nucleo che, dalla
nascita, avrebbe dovuto costituire il nostro nido, un riparo accogliente e
amorevole in cui sentirci al sicuro, protetti, amati, coccolati.
A volte,
purtroppo, questo non accade ma, al contrario, è proprio la famiglia di origine
a costituire la fonte di ogni nostro problema.
La casa si trasforma in una prigione, in un infermo dantesco da cui non
sarà possibile fuggire per molti anni e cioè fino a quando l’età e le
circostanze non ci permetteranno di prendere il volo e andarce alla ricerca di
un luogo se non più sicuro, quantomeno più sereno.
Dalla prigione
fisica, quindi, spesso riusciamo a uscire, in un modo o nell’altro, non fosse
altro che per quell’innato e, a volte sottostimato, spirito di
sopravvivenza. Da quella emotiva e
mentale che la realtà vissuta ha creato, forgiato ed in cui noi stessi siamo
sprofondati può essere molto più difficile evadere e richiedere tempi più
lunghi.
A causa delle
circostanze vissute, abbiamo, infatti, finito con il credere che altro la Vita
non ci avrebbe riservato; che forse tanto dolore e tanta sofferenza ce li siamo
addirittura meritati; e che l’inferno è sempre meglio del nulla.
Le circostanze
oggettive, rafforzate dalla nostra personale percezione degli eventi,
dalla nostra estrema sensibilità e altrettanto profonda emotività
hanno continuato a tenerci a lungo incatenati in uno stato di totale
negatività, un tunnel buio in cui la luce sembrava non entrare mai.
Il tempo passa,
noi cresciamo, maturiamo, abbiamo relazioni spesso altrettanto fallimentari di
quelle che i membri della nostra famiglia hanno avuto.
La sensibilità
e l’emotività crescendo non diminuiscono ma, al contrario, si rafforzano. Ad esse si aggiunge una nostra maggiore
capacità analitica degli eventi traumatici di cui siamo stati testimoni quando
non vittime. La conclusione cui potremmo
approdare è che la Vita sembra portare solo problemi e mai soluzioni né
tantomeno risposte alle nostre domande.
Corpo, Mente,
Psiche e Spirito sono in continuo stato di allerta, di trambusto... fino a
quando non reggono più e, a modo loro, chiedono disperatamente aiuto: ci
ritroviamo improvvisamente preda di attacchi di panico.
Andiamo in
ipoventilazione, ci manca il respiro, perdiamo i sensi o comunque il controllo
del nostro corpo. Crolliamo al suolo
sotto gli occhi preoccupati di qualche Buon Samaritano di passaggio che ci
soccorre e chiama un’ambulanza. La
macchina – te stesso – l’hai guidata sempre al massimo della velocità cui
poteva andare e il motore alla fine ha ceduto: la macchina si è fermata.
Esiste una
soluzione, una via d’uscita a tutto questo?
Assolutamente sì!
Il percorso
psicoterapeutico sicuramente sarà d’aiuto e in molti casi persino necessario.
Noi, però, dobbiamo fare la nostra parte.
Da ‘testimoni oculari’ dobbiamo trasformarci in ‘creatori’ della nostra
Vita.
Le ferite
emotive restano, così come rimarrebbero le cicatrici fisiche se le
avessimo. Dei traumi vissuti rimarrà sicuramente
il ricordo.
L’importante è
prendere in mano le redini della propria vita.
Come?
Innanzitutto confrontandoci
con la realtà vissuta, metabolizzandola, per quanto penosa.
Forse in
passato e per molto tempo questo passo non è stato fatto perché non eravamo
pronti a confrontarci di nuovo con tanto dolore, a guardarlo in faccia e a riviverlo.
La vera
guarigione, tuttavia, può realizzarsi solo attraverso il confronto con e
l’accettazione consapevole della realtà per quanto dolorosa essa sia.
Accettare ciò che è stato, per quello che è stato, è
fondamentale.
Chi ci ha
provocato tanta sofferenza era malato/a, non in grado di controllare la propria
vita né fare scelte diverse. Se ne
avesse avuto la capacità, le avrebbe fatte.
Accettare la
realtà per quella che è stata non significa assolutamente giustificare, ma semplicemente riconoscere che le cose sono andate
in un certo modo e che non è possibile cambiare il passato, riavvolgere la
bobina e crearne uno nuovo, diverso, migliore.
È possibile, tuttavia,
creare un presente e un futuro diversi, rifiutando di
continuare a essere delle vittime
Dobbiamo,
quindi, non solo confrontarci con la realtà e accettare ciò che è stato, ma
avere la determinazine, la forza, il coraggio di dare un taglio al passato
e riemergere dalle ceneri, creando un presente e un futuro non di pura
sopravvivenza, ma vivendo la Vita nella maniera più piena possibile,
focalizzandoci sulle sue bellezze, su ciò che ci dà gioia, serenità, che ci
arricchisce spiritualmente, che riempie
il nostro cuore, la nostra mente e il nostro spirito di positività, di luce.
La scrittura
emotiva, utilizzata quindi a scopo terapeutico, diventa uno strumento
estremamente valido per liberarsi del passato.
Il processo di
disintossicazione è in atto: non ci fermeremo fino a quando l’ultima tossina
non sarà stata eliminata e il nostro corpo, la nostra mente, il nostro spirito
e la nostra psiche non avranno raggiunto una salute ottimale, quella tanto
agognata e mai assaporata né vissuta completamente.
Maria Teresa De
Donato,
Autrice,
Giornalista freelance, Dottoressa in Salute Olistica
LO STORYTELLING EMOZIONALE. Parole e emozioni. Un percorso da vivere assieme in un libro che ne delinea la partenza, lo sviluppo, la realizzazione.
Una guida, un manuale da tenere con sè, un dizionario delle emozioni.
Definitivo.
Per tradurre il vissuto, le immagini, il prodotto chimico- emotivo, in noi. Per comporre il testo da restituire sulla pagina, narrare quell'alveo, l'esperito, che viviamo ma non riusciamo ad esprimere, ripercorrere.
Per colmare la distanza tra la vita e il vivere. Due realtà apparentemente inconciliabili. In Emozioni e Parole troverai un percorso da fare assieme, passo dopo passo, per sentire e capire, leggere e scrivere, in un dialogo sempre attivo tra l'esperienza, in questo caso la lettura del testo e ciò che viene richiamato dalle profondità del nostro essere. Per aprire quello scrigno dimenticato, ma in noi, nel quale sono state salvate le pietre preziose che, tradotte in parole, permetteranno di creare l'autenticità della narrativa. Per sciogliere una male-dizione in una bene-dizione. Leggere rende liberi, scrivere felici. Quando avrai finito di vivere questo percorso di creazione della "scrittura emotiva" avrai capito il perchè.
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Il mio scrivere
Il vostro leggere
Percorsi assieme
A me stesso, Matteo e chi viaggia assieme a
noi.
Ma i veri viaggiatori partono per partire e
basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente,
dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.
I loro desideri hanno le forme delle nuvole.
Charles Baudelaire
L’aspetto delle cose varia secondo le
emozioni;
e così noi vediamo magia e bellezza in loro ,
ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi.
Kahil
Gibran
Premesse
introduttive
Il mio
scrivere è un percorso lungo nel quale il momento in cui mi metto alla tastiera
non è che la penultima tappa prima dell'arrivo a fine corsa..
La partenza:
l’esperito quotidiano.
Il passo successivo:
la messa a fuoco di un senso in ciò che sto vivendo, ho vissuto, vorrei vivere.
Viene a
configurarsi in me la necessità di esprimere un concetto.
Dare un nome
e articolare un discorso sulla sensazione che poco prima ha dato una scossa ai
miei pensieri sino ad allora tranquillamente messi in stand-by dalla tranquilla
routine quotidiana e che la realtà mi propone e della quale non posso più
rimandarne la comprensione.
Il concetto
va a collegarsi con ricordi, vissuti, racconti, eventi, in automatico.
La memoria a
questo punto elicita emozioni.
Sentimenti
che sono propri dell'immaginario che il vissuto di partenza ha messo in luce.
E’ un
movimento eminentemente interiore.
L’inizio e
la fine di tutto in un unico momento, la terra di mezzo sarà da scoprire, il
senso che noi diamo al nostro essere in gioco, un misto da scomporre e mettere
in forma discorsiva, per realizzare scenari sempre più vivibili per il nostro
procedere.
“ Tu
lo sai cosa sono i fasiani?
No. Cosa
sono?
Uccelli.
Uccelli che provano tutte le emozioni in un solo istante. Quando cantano
esprimono amore e rabbia e paura e gioia e tristezza tutto insieme, mescolato
in un unico suono magnifico! Quando gli capita di incontrare l’amore della loro
vita sono al tempo stesso felici e tristi. Felici perché capiscono di essere di
fronte all’inizio, ma tristi perché in fondo sanno che è già finita.”
Astrid
Bergès-Frisbey
Micheal Pitt
– Ian
Progetto che
esprime la volontà di restituire storie di vita paradigmatiche in forma
semplice, all'interno di un racconto interessante, che le rappresenti nel
migliore e più ampio dei modi.
Un percorso
proprio dell’esperienza quotidiana, un “qui e ora” che va a collegarsi con il “la
e allora” che “salvo” e mi propongo di tradurre, riproporre e restituire.
Pressante in
me la necessità di esprimere pienamente tutto ciò.
Inserisco la
variabile del tempo, mi concedo momenti di “riflessioni”, apro in me finestre
che salvano e lasciano in quiescenza il concetto che ho intravisto e che
l’esperienza mi ha messo di fronte, poi entrato in me, vagando nel mio mondo
interiore.
Un lento
“decantare” in attesa di “vedere” le parti ben rappresentate e sempre più
“chiare”.
La sensibilità è una condanna ma ti consente
di cogliere migliaia di colori in un
viaggio in bianco e nero.
Michelangelo Da Pisa
Esperienza
Tutti i luoghi che ho visto,
che ho visitato,
ora so – ne sono certo:
non ci sono mai stato.
Giorgio Caproni
A questo
punto nasce una necessità “fisiologica” di restituire, “scaricare”, in forma di
parole questo vero e proprio “prodotto” che è un misto d’intellettualità,
emotività razionalità, e può essere rappresentato in forma di parole, racconto,
narrazione.
Mi metto
allora a scrivere senza pensare inizialmente alla corretta espressione, ma
ascoltando, accogliendo, accettando questo “prodotto” emozionale fatto di un
concetto di partenza sottostante a tutto, ricordi, emozioni e sentimenti che
danno “vitalità” al vissuto che tutto ciò ha elicitato.
…perch’io, che nella notte abito solo,
anch’io, di notte, strusciando un cerino sul muro, accendo cauto una candela
bianca nella mia mente – apro una vela timida nella tenebra, e il pennino
strusciando che mi scricchiola, anch’io scrivo e riscrivo in silenzio e a lungo
il pianto che mi bagna la mente….
Giorgio Caproni
Non siamo
che alla metà del percorso che dovrà portarmi alla stesura finale del testo
“pubblicabile”.
Collegata a
questo metodo che io definisco “scrittura emotiva”, è la tecnica
“citazionistica” che entrerà in aiuto nella fase di “revisione” del testo,
fondamentale per definire il mio rapporto con i lettori.
Metto in
campo i miei “amici elettivi”, autori che ho chiamato in soccorso nella
solitudine della mia crescita, pomeriggi sconfinati in una casa di soli libri,
sogno ancora in atto che non ho nessuna intenzione di interrompere..
Questo il
percorso che mi porta alla tastiera.
.......
mercoledì 27 settembre 2023
IL MIO ESORDIO NARRATIVO. Uno "scrittore per caso" & Meglio che niente Network. Caratterizzarsi e distinguersi dal resto.
IL MIO ESORDIO NARRATIVO RACCONTATO SU MEGLIO CHE NIENTE NETWORK
CLICCA IL PULSANTE PER ANDARE SU RADIO MEGLIO CHE NIENTE
Inizia da questo primo articolo la collaborazione con RadioMeglio di Niente.
Mi pare una buona occasione per iniziare da una
presentazione dell’inizio del percorso che mi ha portato ad entrare in contatto
con questa realtà che come motto ha “il sito che ti da un’opportunità”.
La scommessa del gruppo di questo network, come indicato sulla loro pagina di presentazione, è "caratterizzarsi e distinguersi dal resto".
Non tutti i giorni si sentono queste parole.
Anzi a leggerle quasi non ci credevo di tanta bellezza
nella disponibilità a creare reciprocità e collaborazioni.
Ho così cliccato su CONTATTI e compilato i campi richiesti
per restituire il mio entusiasmo alla proposta e opportunità.
Per cui dopo alcuni messaggi di prima conoscenza eccomi qui
a raccontarvi la mia storia di “scrittore per caso”.
Iniziata con l’acquisto di un computer portatile in offerta
speciale nel lontano inverno del 2012.
Tutto iniziò così…
…….
“Gian ho comprato un
portatile, faccio venire giù tutto”.
Così annunciai la mia volontà
di mettere in forma di racconto le mie vicende personali.
Non solo per raccontarle, ma
anche per farne una strada da seguire, esperienze da proporre, da condividere,
da rivivere assieme, ognuno nel suo mondo, nei suoi ricordi, sul proprio tono
emotivo.
Mi misi a scrivere…
Tre pagine sui “piccoli
inconsapevoli eroi del baseball”, le inviai a varie case editrici che si
occupavano di sport, cultura sportiva, educazione allo sport.
Mi chiamò Fabio Mancini della
G.Danna di Firenze, sito Edusport.it.
“Tommasini
ci è piaciuto molto il suo modo di romanzare la realtà, ci può mandare tutto il
racconto vorremmo pubblicarlo sul nostro sito come articolo del mese e avremmo
intenzione di fare un Dvd sull’insegnamento del baseball nell’ora di educazione
fisica nelle scuole superiori.”
Cosa avevo scritto?
Vado a rivedere la mail, “vi invio le prime tre pagine del mio
racconto Piccoli inconsapevoli eroi del baseball, una quindicina di adolescenti
che nel 1976 appena festeggiata la propria età entrata in doppia cifra, vengono
introdotti all’arte del baseball e niente fu più come prima”.
Dimenticai di scrivere che le
pagine erano sì le prime ma anche le uniche…
Il racconto era ancora tutto
da scrivere..
Ma per il sito edusport.it era richiesto tutto il
racconto.
Mi ritrovai nella stessa
condizione nella quale proprio negli anni narrati dovevo fare i compiti per le
vacanze.
Mi misi così al lavoro.
Lo pubblicarono sul sito come
articolo del mese di luglio, il primo agosto fu segnalato dalla FIBS –
Federazione Italiana Baseball e Softball sul sito ufficiale federale.
Iniziarono a contattarmi vari
siti, redazioni online, soprattutto baseballmania, come folgorati dal racconto.
“Qualcosa rapisce, le parole vanno in profondità, chi le legge non le
dimentica, anzi è come se le riscrivesse in relazione al proprio vissuto e
stato emotivo”.
Mi chiamç Giovanni Colantuono
da Nettuno, redattore del sito online Baseballmania.
“Tommasini sei il primo che racconta il baseball così, c’è tutto nel tuo
racconto, non solo il battiecorri, ci siamo tutti noi, le nostre passioni, il
modo di vivere la vita e lo sport, posso pubblicarlo, parlami di te, voglio
sapere di più, ti faccio un articolo di presentazione, scrivine altri, facciamo
una rubrica dedicata ai racconti di Giovanni Tommasini sul baseball, sui
Piccoli inconsapevoli del Tomato baseball club.”
Pochi giorni dopo il mio
esordio come scrittore, per la prima volta fui definito tale.
Che sta succedendo e come mai
il mio modo di narrare le mie vicende personali riproposte in una narrazione
talmente intima da elicitare reazioni nel lettore anch’esse profondamente
personale, che sono nella lettura tradotte in un linguaggio universale, per cui
chi legge si rivede, rivive parti di se e del proprio esperito?
Arrivarono
i primi commenti dai lettori.
Saranno dello stesso tenore
dei commenti della mia prima correttrice di bozze, una volta raccolti tutti i
racconti che in tre mesi furono da me scritti quasi compulsivamente e che, a
poche settimane dalla pubblicazione sui siti che li richiesero, andranno a dare
vita al mio primo libro.
Noto un comune denominatore.
Le mie parole emozionano, la
mia descrizione delle realtà restituite toccano il lato emotivo, “il testo possiede la qualità propria delle
opere d’arte, emoziona” così viene commentato il mio testo durante
l’editing.
Si usano gli specchi per
guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.
George Bernard Shaw
Inizio a chiedermi come mai
questo “effetto” come penso il mio scrivere?
Perché ho iniziato a scrivere,
da dove è partita la spinta, la necessità di esprimere un mio vissuto, quale
esigenza ha mosso la mia volontà, mi ha portato sulla tastiera febbrilmente,
come se non ci fosse altra cosa da fare.
Se il mondo fosse chiaro,
l’arte non esisterebbe.
Albert Camus
Ne L’ARTE DEL BASEBALL la
proposta, l’esigenza, la restituzione di partenza era:
Il racconto dell’esperienza di
una quindicina di bambini che partendo dai sotterranei di un parcheggio nel
centro della spettacolare Sanremo, in “balia” di due personalità appassionate,
visionarie, vivranno un’esperienza “adulta” in un’età ancora tenera.
La necessità di sottolineare
la bellezza e profondità di un’avventura che li cambierà per sempre e insegnerà
il piacere di fare bene una cosa, con passione, curiosità, senza pensare ai
risultati, ma solo per poter esprimere pienamente se stessi, conoscersi meglio,
crescere assieme.
L’articolazione del concetto
più ampio del crescere avendo la fortuna di essere coinvolti un’avventura
sproporzionata alla propria età, e il grande valore della passione, curiosità,
amicizia, sana follia che porterà questi bambini a vivere un’esperienza che
darà loro una formazione e impronta indelebile per tutta la loro vita.
Il ricordo dei quegli anni,
luoghi, sentimenti provati, contesti, umanità, vissuti saranno i sotto concetti
che hanno permesso l’articolazione e la restituzione delle storie narrate nei
racconti che formano L’ARTE DEL BASEBALL.
Tra i racconti uno in
particolare mi ha coinvolto totalmente ed è stato scritto coinvolgendo
unicamente il mio essere emotivo.
Era già da qualche tempo che
in me ridondava il concetto della “dipendenza”, il ricordo di un nostro
compagno di squadra che si “bucava”, il nostro vivere questo dramma, non
sapendo che fare, nascondendo la nostra sofferenza e amore nei confronti di un
nostro compagno di squadra da tutti amato.
Legato al concetto di
dipendenza quello della nostra impotenza, quello del nostro essere troppo piccoli
di fronte ad un tema così grande, le nostre emozioni che non riuscivamo ad
esprimere, dominare, vivere.
Che esplodevano nei nostri
peggiori incubi, fantasie, sofferenze soffocate.
Era tutto un misto di questi
“temi” e non riuscivo a capire come fare a de-scrivere, restituire tutta
quest’umanità, così intensamente sentita da tutti in profondità inaccessibili.
Ero in coda al supermercato e
come un lampo che squarcia il cielo e le nuvole mi si presentò il racconto.
Tutti i concetti sino allora cresciuti creando solo ordigni inesplosi in me.
Fu sconvolgente e in me iniziò
a piovere, tuonare, grandinare.
Arrivato in tutta fretta a casa mi misi alla tastiera piangendo e in venti minuti come travolto da una vera e propria “tempesta” scrissi il racconto….
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Ormai
in gioco.
Mi chiedo, che fare?
Godermi questo primo
inaspettato, mai progettato, impensabile sino a pochi mesi prima, libro o
provare a scrivere altro, e cosa?
E come?
Tutti mi chiedono una cosa.
Scrivi Cesare.
La tua storia con il bambino
autistico che hai vissuto per quindici anni.
Decido di andare avanti
.Rimanere in gioco.
Nasce il progetto di
restituire la mia prima esperienza da educatore domiciliare.
Inizio a pormi delle domande e
intravvedere il percorso già inconsapevolmente fatto nello scrivere i racconti
de L’ARTE DEL BASEBALL.
La prima risposta da dare.
Nel futuro secondo libro, SONO CESARE ….TUTTO BENE, quale il “vissuto” da restituire?
Ripensando alla fortuna di
aver vissuto il rapporto con Cesare, bambino affetto da una grave forma di autismo,
nasce in me l’impellente e improrogabile necessità di rappresentare concetti
molto radicati da questa esperienza estrema, ben radicati in me, ma da portare
alla luce della consapevolezza.
Il primo passo diverso da
quello delle prime tre pagine…
Ora inizio a progettare il
percorso, sta nascendo un metodo, mettere in chiaro le basi di partenza, le
radici del racconto, molto prima di
mettermi in contatto con tutto il resto, che ancora non è chiaro in me, ma in
questa occasione inizio a “vedere” nella lenta costruzione del libro.
In quest’occasione non vi è
più l’occasionalità, ma un vero e proprio “pensiero costruttivo”.
Una consapevolezza.
Essendo un progetto e non una
casualità, inizio a capire veramente se sarà possibile propormi come scrittore
o lasciar stare considerando una fortunata esperienza, il mio esordio narrativo
e niente più.
Appuntare ciò che voglio
esprimere a prescindere dalla storia che andrò a restituire.
L’arte
non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.
Paul
Klee
Ed eccomi qui alla tastiera a
raccontarvi l’inizio del mio percorso e del perché mi definisco uno scrittore
per caso.
Nei prossimi articoli i
presenterò uno alla volta tutti i libri nati da quelle prime tre pagine.
Perché da quel racconto nato
per caso, dieci anni dopo, nell’agosto appena passato è uscito il mio
dodicesimo libro…
Qui di seguito vi propongo una
presentazione scritta da Antonella Giordano durante un’intervista per l’uscita
di uno dei miei libri successivi a quelle prime tre pagine…
Ama definirsi come uno “scrittore per
caso” Giovanni Tommasini. “Scrittore per caso” dal 2013, per l’esattezza.
Sicuramente non è uno scrittore qualunque a giudicare dalla risonanza che hanno
ottenuto tutti suoi libri le cui narrazioni seguono indistintamente le orme di
tematiche sociali e civili, soprattutto in merito alla “costruzione di una
relazione d’aiuto”. Per Giovanni Tommasini l’impegno sociale è una mission non
casuale. Sanremese, classe 1966, dopo la laurea in scienze politiche conseguita
all’università di Genova, ha dedicato la sua vita portando aiuto nei contesti
più bisognosi della società. Educatore e seminarista iscritto all’albo
professionale e inizialmente impegnato come collaboratore nei consultori
familiari di quartiere in qualità di assistente domiciliare, dal 1994 è
educatore nei centri diurni e nelle case famiglia della Cooperativa Genova
Integrazione, a marchio Anffas. Le sue esperienze professionali maturate sul
campo ne fanno una voce autorevole per comprendere il panorama dei mali che
affliggono le tante realtà sociali del nostro tempo.
Nei suoi seminari, propone dibattiti e
laboratori su autismo, scrittura emotiva, dipendenza da internet, cultura
sportiva e nuove generazioni. È autore di diversi libri, tra i quali notevoli
sono i saggi "Papà mi connetti?", "Il virus siamo noi",
"Emozioni e parole. La scrittura emotiva".
Non meno importanti e intensi i testi di
narrativa “Il sogno americano del Tomato Baseball Club” “La musicalità del
silenzio. Il nostro autismo e quello del mondo attorno a noi”, “Una vita senza.
Una storia di quotidiana resilienza”, "L’ultima lettera alla mia prima
fidanzata", “Terra battuta. Essere vivi e scendere a rete, questa la
felicità”.
Nell’estate del 2023 le ultime fatiche
editoriali di questo prolifico autore hanno prodotto i libri “Panico ben
temperato”, “Cinema e sport, 12 film indimenticabili” e “Mondo contrario”.
Tutte le proposte editoriali di questo
prolifico autore sono state dallo stesso prodotte e pubblicate su Amazon.
Antonella Giordano
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