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- TUTTI I LIBRI E GLI EBOOK DI GIOVANNI TOMMASINI. Scheda di presentazione. Copertina, sinossi, recensioni, link per l'acquisto.
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domenica 8 ottobre 2023
UNA PROVOCATORIA LIBERTÀ IN CERCA DI SCRITTURA. LA FELICITA' DI VIVERE LA COMPLESSITA'
IN CERCA DI SCRITTURA
(UNA PROVOCATORIA LIBERTÀ)
«Non capisco tutto e mi rallegro
LA COLLANA PAGINE D'AMORE PER MIO FIGLIO SU AMAZON
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lunedì 2 ottobre 2023
La realtà. Piattaforma social senza più follower.
IL FRASTUONO DEL MONDO COS'È,
CANTAVA PAOLO CONTE.
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Stiamo vivendo un momento storico in cui non si sente più "il frastuono del mondo". Il silenzio è sempre più assordante, sui treni, in pizzeria, persone perse nello schermo di un device.
Mio figlio nella primavera del 2013 mi chiese "papà mi connetti?" e non mi resi conto che tutto stava cambiando, l'altro iniziava a sparire, uno tsunami digitale stava per travolgere tutto e tutti.
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Per la prima volta nella storia, una rivoluzione tecnologica in meno di dieci anni ha ribaltato la quotidianità di ognuno di noi, eliminando l'unica piattaforma social con la quale noi, ultima generazione nata e cresciuta, per la maggior parte della nostra vita, off line, senza rete, abbiamo avuto a che fare : la realtà.
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La desertificazione culturale, lessicale, emotiva, che la perenne connessione produce, è un vero e proprio progetto strumentale alla riduzione dell'utente ad una mera protesi del device, in funzione di una vita fatta di una serie di "touch" indotti, finalizzati all'ordinazione di merci (il magazzino ha ormai sostituito il palmo della nostra mano) , pagamento di ricariche, per giochi, servizi, svuotando ogni "azione umana" di ogni contenuto relazionale, affettivo, reale.
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Libri e EBooks da una realtà dimenticata. Quella del "NOI", degli abbracci, delle passeggiate mano nella mano, gli occhi negli occhi dell'Altro.
Questo il futuro delle nuove generazioni.
Cosa possiamo fare noi ultima generazione nata, cresciuta, vissuta off line, nella realtà, con l'immagine di noi stessi riflessa nel volto dell'Altro?
Parliamone.....
Like addiction, challenge, nomofobia e vamping: sono le nuove patologie da iperconessione, rilevate da uno studio curato dall'Osservatorio nazionale adolescenza e condotto su 8.000 ragazzi a partire dagli 11 anni d'età. Dall'indagine, messa a punto anche in occasione del Safer Internet Day, emerge che il 98% tra i 14 e i 19 anni possiede uno smartphone personale già a 10 anni. Più i ragazzi sono piccoli, più hanno avuto precocemente tra le mani i vari strumenti tecnologici, sottolinea l'Osservatorio: il dato rilevante è che oltre 3 adolescenti su 10 hanno avuto modo di utilizzare uno smartphone direttamente nella primissima infanzia, con la possibilità anche di accedere liberamente a internet e alle applicazioni presenti nel telefono.
Tra i più giovani, l'età media dell’uso del primo cellulare, l’accesso a internet e l’apertura del primo profilo social si aggira intorno ai 9 anni. Circa 5 adolescenti su 10 dichiarano di trascorrere da 3 a 6 ore extrascolastiche con lo smartphone in mano, il 16% da 7 a 10 ore, mentre il 10% supera abbondantemente la soglia delle 10 ore. Il 95% degli adolescenti ha almeno un profilo sui social network, contro il 77% dei preadolescenti. Il primo è stato aperto intorno ai 12 anni e la maggior parte di loro arriva a gestire in parallelo 5-6 profili, insieme a 2-3 app di messaggistica istantanea.
Il fatto di avere una serie di applicazioni social sconosciute ai genitori - sottolinea l'Osservatorio - permette loro di essere meno controllati e più sicuri di poter anche osare, favorendo comportamenti come il sexting, cyberbullismo e diffusione di materiale privato in rete. Uno dei dati più allarmanti - evidenzia il report - è che il 14% degli adolescenti ha anche un profilo finto, che nessuno conosce o solo pochi, risultando quindi non controllabile dai genitori e nel contempo facile preda della rete del grooming (adescamento di minori online).
Sei adolescenti su dieci dichiarano di non poter più fare a meno di WhatsApp: il 99% lo utilizza ogni giorno, il 93% si scambia i compiti attraverso il gruppo-classe e il 70% chatta in maniera compulsiva. Per quanto riguarda i preadolescenti, invece, il 96% utilizza WhatsApp.
Quali sono gli effetti di questo essere sempre connessi? Il 'vamping', ossia la moda degli adolescenti di trascorrere numerose ore notturne sui social media, sembra diventata una vera e propria abitudine - denuncia l'Osservatorio - tanto che 6 su 10 dichiarano di rimanere spesso svegli fino all’alba a chattare, parlare e giocare, rispetto ai 4 su 10 nella fascia dei preadolescenti. La tendenza, invece che accomuna tutti i ragazzi è di tenere a portata di mano il telefono quasi tutto il giorno, notte compresa, fino al 15% che si sveglia quasi tutte le notti per leggere le notifiche e i messaggi, in modo da non essere tagliati fuori, altra patologia emergente legata all’abuso dello smartphone (Fomo - fear of missing out).
Gli adolescenti - allerta l'Osservatorio - sono alla continua ricerca di approvazione, che si raggiunge attraverso like e follower: per circa 5 su 10 è normale condividere tutto quello che si fa, comprese foto personali e private, mettendo tutto in vetrina, sottoponendolo alla severa valutazione della macchina dei 'mi piace'. Per oltre 3 adolescenti su 10 è importante il numero dei like ricevuti, che accrescono l’autostima, la popolarità e quindi la sicurezza personale. Ovviamente, vale anche il contrario,tanto che il 34% ci rimane molto male e si arrabbia quando non si sente apprezzato.
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venerdì 29 settembre 2023
IL PANICO PUO' ESSERE NOSTRO ALLEATO?
Come vivere consapevolmente, storicizzare e neutralizzare, i prodromi del panico?
Il panico può essere nostro alleato,
il corpo chiede di fermarsi per trovare
Traumi; ferite
emotive; una grande sofferenza interiore che affonda le radici nell’infanzia e,
paradossalmente, ha origine proprio dalla famiglia, da quel nucleo che, dalla
nascita, avrebbe dovuto costituire il nostro nido, un riparo accogliente e
amorevole in cui sentirci al sicuro, protetti, amati, coccolati.
A volte,
purtroppo, questo non accade ma, al contrario, è proprio la famiglia di origine
a costituire la fonte di ogni nostro problema.
La casa si trasforma in una prigione, in un infermo dantesco da cui non
sarà possibile fuggire per molti anni e cioè fino a quando l’età e le
circostanze non ci permetteranno di prendere il volo e andarce alla ricerca di
un luogo se non più sicuro, quantomeno più sereno.
Dalla prigione
fisica, quindi, spesso riusciamo a uscire, in un modo o nell’altro, non fosse
altro che per quell’innato e, a volte sottostimato, spirito di
sopravvivenza. Da quella emotiva e
mentale che la realtà vissuta ha creato, forgiato ed in cui noi stessi siamo
sprofondati può essere molto più difficile evadere e richiedere tempi più
lunghi.
A causa delle
circostanze vissute, abbiamo, infatti, finito con il credere che altro la Vita
non ci avrebbe riservato; che forse tanto dolore e tanta sofferenza ce li siamo
addirittura meritati; e che l’inferno è sempre meglio del nulla.
Le circostanze
oggettive, rafforzate dalla nostra personale percezione degli eventi,
dalla nostra estrema sensibilità e altrettanto profonda emotività
hanno continuato a tenerci a lungo incatenati in uno stato di totale
negatività, un tunnel buio in cui la luce sembrava non entrare mai.
Il tempo passa,
noi cresciamo, maturiamo, abbiamo relazioni spesso altrettanto fallimentari di
quelle che i membri della nostra famiglia hanno avuto.
La sensibilità
e l’emotività crescendo non diminuiscono ma, al contrario, si rafforzano. Ad esse si aggiunge una nostra maggiore
capacità analitica degli eventi traumatici di cui siamo stati testimoni quando
non vittime. La conclusione cui potremmo
approdare è che la Vita sembra portare solo problemi e mai soluzioni né
tantomeno risposte alle nostre domande.
Corpo, Mente,
Psiche e Spirito sono in continuo stato di allerta, di trambusto... fino a
quando non reggono più e, a modo loro, chiedono disperatamente aiuto: ci
ritroviamo improvvisamente preda di attacchi di panico.
Andiamo in
ipoventilazione, ci manca il respiro, perdiamo i sensi o comunque il controllo
del nostro corpo. Crolliamo al suolo
sotto gli occhi preoccupati di qualche Buon Samaritano di passaggio che ci
soccorre e chiama un’ambulanza. La
macchina – te stesso – l’hai guidata sempre al massimo della velocità cui
poteva andare e il motore alla fine ha ceduto: la macchina si è fermata.
Esiste una
soluzione, una via d’uscita a tutto questo?
Assolutamente sì!
Il percorso
psicoterapeutico sicuramente sarà d’aiuto e in molti casi persino necessario.
Noi, però, dobbiamo fare la nostra parte.
Da ‘testimoni oculari’ dobbiamo trasformarci in ‘creatori’ della nostra
Vita.
Le ferite
emotive restano, così come rimarrebbero le cicatrici fisiche se le
avessimo. Dei traumi vissuti rimarrà sicuramente
il ricordo.
L’importante è
prendere in mano le redini della propria vita.
Come?
Innanzitutto confrontandoci
con la realtà vissuta, metabolizzandola, per quanto penosa.
Forse in
passato e per molto tempo questo passo non è stato fatto perché non eravamo
pronti a confrontarci di nuovo con tanto dolore, a guardarlo in faccia e a riviverlo.
La vera
guarigione, tuttavia, può realizzarsi solo attraverso il confronto con e
l’accettazione consapevole della realtà per quanto dolorosa essa sia.
Accettare ciò che è stato, per quello che è stato, è
fondamentale.
Chi ci ha
provocato tanta sofferenza era malato/a, non in grado di controllare la propria
vita né fare scelte diverse. Se ne
avesse avuto la capacità, le avrebbe fatte.
Accettare la
realtà per quella che è stata non significa assolutamente giustificare, ma semplicemente riconoscere che le cose sono andate
in un certo modo e che non è possibile cambiare il passato, riavvolgere la
bobina e crearne uno nuovo, diverso, migliore.
È possibile, tuttavia,
creare un presente e un futuro diversi, rifiutando di
continuare a essere delle vittime
Dobbiamo,
quindi, non solo confrontarci con la realtà e accettare ciò che è stato, ma
avere la determinazine, la forza, il coraggio di dare un taglio al passato
e riemergere dalle ceneri, creando un presente e un futuro non di pura
sopravvivenza, ma vivendo la Vita nella maniera più piena possibile,
focalizzandoci sulle sue bellezze, su ciò che ci dà gioia, serenità, che ci
arricchisce spiritualmente, che riempie
il nostro cuore, la nostra mente e il nostro spirito di positività, di luce.
La scrittura
emotiva, utilizzata quindi a scopo terapeutico, diventa uno strumento
estremamente valido per liberarsi del passato.
Il processo di
disintossicazione è in atto: non ci fermeremo fino a quando l’ultima tossina
non sarà stata eliminata e il nostro corpo, la nostra mente, il nostro spirito
e la nostra psiche non avranno raggiunto una salute ottimale, quella tanto
agognata e mai assaporata né vissuta completamente.
Maria Teresa De
Donato,
Autrice,
Giornalista freelance, Dottoressa in Salute Olistica
mercoledì 27 settembre 2023
IL MIO ESORDIO NARRATIVO. Uno "scrittore per caso" & Meglio che niente Network. Caratterizzarsi e distinguersi dal resto.
IL MIO ESORDIO NARRATIVO RACCONTATO SU MEGLIO CHE NIENTE NETWORK
CLICCA IL PULSANTE PER ANDARE SU RADIO MEGLIO CHE NIENTE
Inizia da questo primo articolo la collaborazione con RadioMeglio di Niente.
Mi pare una buona occasione per iniziare da una
presentazione dell’inizio del percorso che mi ha portato ad entrare in contatto
con questa realtà che come motto ha “il sito che ti da un’opportunità”.
La scommessa del gruppo di questo network, come indicato sulla loro pagina di presentazione, è "caratterizzarsi e distinguersi dal resto".
Non tutti i giorni si sentono queste parole.
Anzi a leggerle quasi non ci credevo di tanta bellezza
nella disponibilità a creare reciprocità e collaborazioni.
Ho così cliccato su CONTATTI e compilato i campi richiesti
per restituire il mio entusiasmo alla proposta e opportunità.
Per cui dopo alcuni messaggi di prima conoscenza eccomi qui
a raccontarvi la mia storia di “scrittore per caso”.
Iniziata con l’acquisto di un computer portatile in offerta
speciale nel lontano inverno del 2012.
Tutto iniziò così…
…….
“Gian ho comprato un
portatile, faccio venire giù tutto”.
Così annunciai la mia volontà
di mettere in forma di racconto le mie vicende personali.
Non solo per raccontarle, ma
anche per farne una strada da seguire, esperienze da proporre, da condividere,
da rivivere assieme, ognuno nel suo mondo, nei suoi ricordi, sul proprio tono
emotivo.
Mi misi a scrivere…
Tre pagine sui “piccoli
inconsapevoli eroi del baseball”, le inviai a varie case editrici che si
occupavano di sport, cultura sportiva, educazione allo sport.
Mi chiamò Fabio Mancini della
G.Danna di Firenze, sito Edusport.it.
“Tommasini
ci è piaciuto molto il suo modo di romanzare la realtà, ci può mandare tutto il
racconto vorremmo pubblicarlo sul nostro sito come articolo del mese e avremmo
intenzione di fare un Dvd sull’insegnamento del baseball nell’ora di educazione
fisica nelle scuole superiori.”
Cosa avevo scritto?
Vado a rivedere la mail, “vi invio le prime tre pagine del mio
racconto Piccoli inconsapevoli eroi del baseball, una quindicina di adolescenti
che nel 1976 appena festeggiata la propria età entrata in doppia cifra, vengono
introdotti all’arte del baseball e niente fu più come prima”.
Dimenticai di scrivere che le
pagine erano sì le prime ma anche le uniche…
Il racconto era ancora tutto
da scrivere..
Ma per il sito edusport.it era richiesto tutto il
racconto.
Mi ritrovai nella stessa
condizione nella quale proprio negli anni narrati dovevo fare i compiti per le
vacanze.
Mi misi così al lavoro.
Lo pubblicarono sul sito come
articolo del mese di luglio, il primo agosto fu segnalato dalla FIBS –
Federazione Italiana Baseball e Softball sul sito ufficiale federale.
Iniziarono a contattarmi vari
siti, redazioni online, soprattutto baseballmania, come folgorati dal racconto.
“Qualcosa rapisce, le parole vanno in profondità, chi le legge non le
dimentica, anzi è come se le riscrivesse in relazione al proprio vissuto e
stato emotivo”.
Mi chiamç Giovanni Colantuono
da Nettuno, redattore del sito online Baseballmania.
“Tommasini sei il primo che racconta il baseball così, c’è tutto nel tuo
racconto, non solo il battiecorri, ci siamo tutti noi, le nostre passioni, il
modo di vivere la vita e lo sport, posso pubblicarlo, parlami di te, voglio
sapere di più, ti faccio un articolo di presentazione, scrivine altri, facciamo
una rubrica dedicata ai racconti di Giovanni Tommasini sul baseball, sui
Piccoli inconsapevoli del Tomato baseball club.”
Pochi giorni dopo il mio
esordio come scrittore, per la prima volta fui definito tale.
Che sta succedendo e come mai
il mio modo di narrare le mie vicende personali riproposte in una narrazione
talmente intima da elicitare reazioni nel lettore anch’esse profondamente
personale, che sono nella lettura tradotte in un linguaggio universale, per cui
chi legge si rivede, rivive parti di se e del proprio esperito?
Arrivarono
i primi commenti dai lettori.
Saranno dello stesso tenore
dei commenti della mia prima correttrice di bozze, una volta raccolti tutti i
racconti che in tre mesi furono da me scritti quasi compulsivamente e che, a
poche settimane dalla pubblicazione sui siti che li richiesero, andranno a dare
vita al mio primo libro.
Noto un comune denominatore.
Le mie parole emozionano, la
mia descrizione delle realtà restituite toccano il lato emotivo, “il testo possiede la qualità propria delle
opere d’arte, emoziona” così viene commentato il mio testo durante
l’editing.
Si usano gli specchi per
guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.
George Bernard Shaw
Inizio a chiedermi come mai
questo “effetto” come penso il mio scrivere?
Perché ho iniziato a scrivere,
da dove è partita la spinta, la necessità di esprimere un mio vissuto, quale
esigenza ha mosso la mia volontà, mi ha portato sulla tastiera febbrilmente,
come se non ci fosse altra cosa da fare.
Se il mondo fosse chiaro,
l’arte non esisterebbe.
Albert Camus
Ne L’ARTE DEL BASEBALL la
proposta, l’esigenza, la restituzione di partenza era:
Il racconto dell’esperienza di
una quindicina di bambini che partendo dai sotterranei di un parcheggio nel
centro della spettacolare Sanremo, in “balia” di due personalità appassionate,
visionarie, vivranno un’esperienza “adulta” in un’età ancora tenera.
La necessità di sottolineare
la bellezza e profondità di un’avventura che li cambierà per sempre e insegnerà
il piacere di fare bene una cosa, con passione, curiosità, senza pensare ai
risultati, ma solo per poter esprimere pienamente se stessi, conoscersi meglio,
crescere assieme.
L’articolazione del concetto
più ampio del crescere avendo la fortuna di essere coinvolti un’avventura
sproporzionata alla propria età, e il grande valore della passione, curiosità,
amicizia, sana follia che porterà questi bambini a vivere un’esperienza che
darà loro una formazione e impronta indelebile per tutta la loro vita.
Il ricordo dei quegli anni,
luoghi, sentimenti provati, contesti, umanità, vissuti saranno i sotto concetti
che hanno permesso l’articolazione e la restituzione delle storie narrate nei
racconti che formano L’ARTE DEL BASEBALL.
Tra i racconti uno in
particolare mi ha coinvolto totalmente ed è stato scritto coinvolgendo
unicamente il mio essere emotivo.
Era già da qualche tempo che
in me ridondava il concetto della “dipendenza”, il ricordo di un nostro
compagno di squadra che si “bucava”, il nostro vivere questo dramma, non
sapendo che fare, nascondendo la nostra sofferenza e amore nei confronti di un
nostro compagno di squadra da tutti amato.
Legato al concetto di
dipendenza quello della nostra impotenza, quello del nostro essere troppo piccoli
di fronte ad un tema così grande, le nostre emozioni che non riuscivamo ad
esprimere, dominare, vivere.
Che esplodevano nei nostri
peggiori incubi, fantasie, sofferenze soffocate.
Era tutto un misto di questi
“temi” e non riuscivo a capire come fare a de-scrivere, restituire tutta
quest’umanità, così intensamente sentita da tutti in profondità inaccessibili.
Ero in coda al supermercato e
come un lampo che squarcia il cielo e le nuvole mi si presentò il racconto.
Tutti i concetti sino allora cresciuti creando solo ordigni inesplosi in me.
Fu sconvolgente e in me iniziò
a piovere, tuonare, grandinare.
Arrivato in tutta fretta a casa mi misi alla tastiera piangendo e in venti minuti come travolto da una vera e propria “tempesta” scrissi il racconto….
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Ormai
in gioco.
Mi chiedo, che fare?
Godermi questo primo
inaspettato, mai progettato, impensabile sino a pochi mesi prima, libro o
provare a scrivere altro, e cosa?
E come?
Tutti mi chiedono una cosa.
Scrivi Cesare.
La tua storia con il bambino
autistico che hai vissuto per quindici anni.
Decido di andare avanti
.Rimanere in gioco.
Nasce il progetto di
restituire la mia prima esperienza da educatore domiciliare.
Inizio a pormi delle domande e
intravvedere il percorso già inconsapevolmente fatto nello scrivere i racconti
de L’ARTE DEL BASEBALL.
La prima risposta da dare.
Nel futuro secondo libro, SONO CESARE ….TUTTO BENE, quale il “vissuto” da restituire?
Ripensando alla fortuna di
aver vissuto il rapporto con Cesare, bambino affetto da una grave forma di autismo,
nasce in me l’impellente e improrogabile necessità di rappresentare concetti
molto radicati da questa esperienza estrema, ben radicati in me, ma da portare
alla luce della consapevolezza.
Il primo passo diverso da
quello delle prime tre pagine…
Ora inizio a progettare il
percorso, sta nascendo un metodo, mettere in chiaro le basi di partenza, le
radici del racconto, molto prima di
mettermi in contatto con tutto il resto, che ancora non è chiaro in me, ma in
questa occasione inizio a “vedere” nella lenta costruzione del libro.
In quest’occasione non vi è
più l’occasionalità, ma un vero e proprio “pensiero costruttivo”.
Una consapevolezza.
Essendo un progetto e non una
casualità, inizio a capire veramente se sarà possibile propormi come scrittore
o lasciar stare considerando una fortunata esperienza, il mio esordio narrativo
e niente più.
Appuntare ciò che voglio
esprimere a prescindere dalla storia che andrò a restituire.
L’arte
non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.
Paul
Klee
Ed eccomi qui alla tastiera a
raccontarvi l’inizio del mio percorso e del perché mi definisco uno scrittore
per caso.
Nei prossimi articoli i
presenterò uno alla volta tutti i libri nati da quelle prime tre pagine.
Perché da quel racconto nato
per caso, dieci anni dopo, nell’agosto appena passato è uscito il mio
dodicesimo libro…
Qui di seguito vi propongo una
presentazione scritta da Antonella Giordano durante un’intervista per l’uscita
di uno dei miei libri successivi a quelle prime tre pagine…
Ama definirsi come uno “scrittore per
caso” Giovanni Tommasini. “Scrittore per caso” dal 2013, per l’esattezza.
Sicuramente non è uno scrittore qualunque a giudicare dalla risonanza che hanno
ottenuto tutti suoi libri le cui narrazioni seguono indistintamente le orme di
tematiche sociali e civili, soprattutto in merito alla “costruzione di una
relazione d’aiuto”. Per Giovanni Tommasini l’impegno sociale è una mission non
casuale. Sanremese, classe 1966, dopo la laurea in scienze politiche conseguita
all’università di Genova, ha dedicato la sua vita portando aiuto nei contesti
più bisognosi della società. Educatore e seminarista iscritto all’albo
professionale e inizialmente impegnato come collaboratore nei consultori
familiari di quartiere in qualità di assistente domiciliare, dal 1994 è
educatore nei centri diurni e nelle case famiglia della Cooperativa Genova
Integrazione, a marchio Anffas. Le sue esperienze professionali maturate sul
campo ne fanno una voce autorevole per comprendere il panorama dei mali che
affliggono le tante realtà sociali del nostro tempo.
Nei suoi seminari, propone dibattiti e
laboratori su autismo, scrittura emotiva, dipendenza da internet, cultura
sportiva e nuove generazioni. È autore di diversi libri, tra i quali notevoli
sono i saggi "Papà mi connetti?", "Il virus siamo noi",
"Emozioni e parole. La scrittura emotiva".
Non meno importanti e intensi i testi di
narrativa “Il sogno americano del Tomato Baseball Club” “La musicalità del
silenzio. Il nostro autismo e quello del mondo attorno a noi”, “Una vita senza.
Una storia di quotidiana resilienza”, "L’ultima lettera alla mia prima
fidanzata", “Terra battuta. Essere vivi e scendere a rete, questa la
felicità”.
Nell’estate del 2023 le ultime fatiche
editoriali di questo prolifico autore hanno prodotto i libri “Panico ben
temperato”, “Cinema e sport, 12 film indimenticabili” e “Mondo contrario”.
Tutte le proposte editoriali di questo
prolifico autore sono state dallo stesso prodotte e pubblicate su Amazon.
Antonella Giordano
.
lunedì 25 settembre 2023
IL RACKET EMOTIVO E RELAZIONALE. VIVERE NEL RICATTO EMOTIVO. UNA MAFIOSA VITA QUOTIDIANA.
Tutte le mattine mi sveglio, mi alzo dal letto e penso "a che punto siamo?" "che vita è'?".
Un pensiero che mi percorre da una vita.
Perché troppe volte mi sono svegliato e non ho potuto pensare, ma solo difendermi.
Una vita in ritirata, senza poter almeno pensare "perché mi alzo?".
Ma una mattina mi sono alzato e ho pensato "me ne vado?".
Mi ero poi scordato di proseguire con due domande necessarie e onestamente successive all'affermazione di volontà di inconsapevole voglia di emancipazione.
"da cosa sto scappando, dove voglio andare e perché, in poche parole cosa voglio lasciare"
La sfida di una vita trovare le risposte, le parole per delineare la partenza e descrivere, disegnare, il percorso da intraprendere e proseguire.
Poco importa il risultato finale, non si parte e scappa per vincere o perdere, ma per salvare il salvabile.
E' fondamentalmente per questo motivo che ora che sto per arrivare ai sessant'anni tutte le mattine mi sveglio e...
Mi chiedo "come sta andando?".
Il percorso è stato intrapreso, velocemente, appena possibile, a gambe levate.
Per perdermi nel mondo, sprofondandoci, per sentirmi parte di una realtà dove almeno potermela giocare, con l'obiettivo di un pareggio fuori casa.
In famiglia era un cappotto, una sconfitta umiliante giorno dopo giorno.
Si retrocedeva e alla fine entrava in gioco una vocina, una lametta ficcata nella mente, che mi diceva con tono violento, acuto, ossessivo, "falla finita, il terrazzo e lì, o ti butti te, o ammazzi loro"
Loro chi? Non riuscivo ancora a vederli, staccarli da me, dare un nome e metterli al loro posto.
Li avevo dentro, addosso, intorno, sulla pelle, nelle orecchie, ad occhi chiusi potevo solo parare i colpi.
Scappando, percorrendo strade a caso, incontrando altri demoni, rimettendo in atto le stesse follie e dinamiche, quasi per passarci dentro per tentare nuove fughe e trovare il terreno più sicuro sotto i miei piedi, sono riuscito a mettere luce su di loro, vederli, guardarli negli occhi, metterli fuori casa, creare una solitudine consolatoria.
La solitudine mi ha tenuto compagnia.
Senza di loro riuscivo a respirare.
Torniamo alla domanda madre. Da chi scappavo?
Da ricattatori, persone amate, che conoscevano bene la loro posizione di onnipotenza nei confronti di un bambino che non poteva difendersi ma solo chiedere.
Per questo violentatori, proprio per il fatto che per me dovevano essere lo scivolo per la vita, e invece mi trovavo ai bordi di un burrone sul quale vivevo affacciato e terrorizzato.
Dalle guerre e dai bombardamenti si cerca di prendere le distanze, si cercano rifugi e si attende il passare del tempo per poter alzare le tende e allontanarsi dalle macerie.
Pensavo che fosse stato sufficiente lasciare quella casa e che fuori fossero solo fiori e festival della canzone.
Ma era pan per focaccia.
La dinamica del ricatto emotivo, del "se no..." era sempre in attività, un "maitre à penser", una manipolazione mentale che andava in "ON" non appena veniva a realizzarsi una relazione in cui l'affettività e l'emotività relazionale veniva ad assurgere a intensità da cui dipendeva il buon o cattivo umore.
Un modo di relazionarsi mafioso. O fai cio che che ti dico e chiedo o muori.
Una relazione subdola, meschina, umiliante per chi si sente in minoranza e difetto, con il quale l'altro importante pensa di poter disporre forte della conoscenza che ha dei sentimenti in gioco.
Amore e approvazione. Si sa che in gioco ci sono queste variabili e si usano come arma di ricatto, un potere da giocare e portare dalla propria parte.
Genitori sui figli, amanti, genitori separati con figli.
Il gioco è fatto.
Ed è un vero e proprio RACKET RELAZIONALE.
Un vero e proprio abuso relazionale.
Pian piano si fa sentire che tutto dipende da te.
Il buono e cattivo tempo.
"Da quando sei andato via la nostra famiglia è crollata" (la mia gemella dopo la mia laurea).
"Scordatelo" (la mamma di mio figlio chiedendomi un mantenimento impossibile da assicurare).
"Perché intendiamoci Tommasini, se la richiesta viene fatta ripetutamente, con il ricatto di non vedere più suo figlio, siamo nella prefigurazione, almeno, del reato di TENTATA ESTORSIONE" (il miglior avvocato penalista in circolazione in risposta al racconto della "trattativa" del mantenimento nel momento in cui mio figlio ha espresso la legittima esigenza di stare "anche" con la mamma, fina ad allora figura materna latitante).
Persone fondamentali, che fanno parte della vita.
La propria.
Quella che si ama.
Ma non tutto nel bosco è mirtilli, more, lamponi e fragoline.
Ci sono le spine.
Tante.
Lupi affamati.
E allora tutte le mattine mi chiedo "a che punto siamo?'
Mi alzo.
Mi lavo la faccia, mi guardo allo specchio e penso.
"Andiamo a vedere se può andare meglio, al di fuori di qui è Come Quando Fuori Piove".
C. Q. F. P. Cuori, Quadri, Fiori, Picche. Una partita a carte.
Da giocare onestamente, sperando di incontrare compagni di gioco altrettanto onesti.
Poco importa il risultato finale.
Fa la differenza l'intenzione.
E la voglia di vivere.
RACKET (prima definizione da ricerca google)
Organizzazione della mala vita diretta all'estorsione intimidatoria e violenta di denaro o altri vantaggi a persone apparentemente consenzienti.
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La FOMO. FEAR OF MISSING OUT. Nuove patologie dalla perenne connessione.Ne siamo tutti coinvolti. Siamo disposti a riconoscere questa patologia e a metterci nuovamente in relazione con l'Altro e la Realtà?
LA FOMO: LA PAURA DI ESSERE TAGLIATI FUORI
La FOMO, Fear of Missing Out, ovvero la paura di essere tagliati fuori, delinea un tipo di ansia sociale che si esprime attraverso la paura di essere emarginati, esclusi, dalla comunità dei Social Network.
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Nello specifico, la paura di essere tagliato fuori spinge il soggetto a controllare ripetutamente i suoi profili social per verificare e “sorvegliare” cosa stanno facendo gli altri. Da qui nasce la necessità di “abbuffarsi” di immagini, informazioni ed eventi per poter non essere esclusi dalla vita social altrui e propria. Inoltre, un altro aspetto di questa condotta, riporta ad una invidia latente che si manifesta e configura nella considerazione che le esperienze degli altri siano più interessanti e appaganti delle proprie. Ancora, la FOMO porta il soggetto a pensare di perdere l’opportunità di una interazione sociale gratificante: l’esperienza che mi sto perdendo è più gratificante di quella che sto vivendo. Parrebbe quindi che la migliore interazione sociale possibile sia sempre concepita tramite il digitale. Infatti, come ben spiega John M. Grohol, psicologo esperto statunitense, “i Social Network sono contemporaneamente presenza annunciata e assenza percepita degli altri e di sé […] che induce il soggetto a percepire una aspettativa emotiva di qualcosa che si sta perdendo”.
La FOMO, la paura di essere tagliati fuori, in prima battuta, può essere attivata dai post visibili su Facebook e Instagram: un selfie durante un evento particolare può suscitare, infatti, la paura negli altri di essere mancati a una situazione considerata divertente. Chi osserva potrebbe sentirsi tagliato fuori dall’evento stesso e ciò comporterà la condivisione di foto o post di situazioni o eventi altrettanto piacevoli, a volte anche non reali. Si può ora ben comprendere quanto ci sia, di fondo, un sentimento di solitudine che si cerca di colmare attraverso i Social. Questa paura può produrre via via la necessità di apparire online per suscitare, negli altri la stessa FOMO. La necessità psicologica di mostrarsi in situazioni piacevoli, diviene più importante di averle vissute davvero.
Ma chi ha più probabilità di soffrire di FOMO? Di primo acchito sarebbe lecito pensare che la paura di essere tagliati fuori, la FOMO, porti al “freezing” del soggetto in un’ottica di fuga e ritiro frustrato. Nel caso particolare della FOMO, il soggetto è, però, sempre parte attiva del circuito descritto: è attivo poiché vi è la costante visione dei Social e delle “vite degli altri”, è attivo perché egli stesso ha la necessità di postare e suscitare invidia, mostrandosi divertito, circondato da persone che come lui si divertono.
Come ben chiarito da Andrew Przybylski, ricercatore dell’Università di Oxford che per primo ha coniato il termine FOMO, i livelli di quest’ultima sono maggiori in coloro che percepiscono un basso livello di considerazione della propria vita e un rapporto ambiguo e confuso con i Social Media.
La necesità di essere sempre connessi, oltre ad aumentare i livelli di FOMO, ci interroga sui livelli di consapevolezza delle persone affette da questo disagio: quale sensibilità rispetto a loro stessi si riconoscono? Che tipo di coscienza genera la necessità della connessione? Queste domande consentono perciò di indirizzare la nostra attenzione sullo sviluppo della cultura sulle dinamiche psicologiche e psicopatologiche della tecnologia online.
Quella che infatti pare, e appare, come una connessione, altro non è che una interruzione: interruzione di una interazione che sta avvenendo nel qui e ora considerata, però, potenzialmente meno appagante di un’altra a cui è impossibile non collegarsi e connettersi.
Accorgersene è il primo passo, rompere gli schemi abituali la soluzione. Da soli o con l’aiuto di un buon percorso psicologico specialistico.
http://www.escteam.net/2018/09/news/la-fomo-la-paura-di-essere-tagliati-fuori/
La sindrome da iperconnessione può essere definita come una forma di ansia che non permette, a chi ne è affetto, di disconnettersi dal mondo digitale. Naturalmente questa sindrome si è accentuata negli ultimi anni grazie alla diffusione degli Smartphone che ci consentono di collegarci ovunque ci troviamo, ma quando scollegarsi significa sentire un forte senso di disagio, allora vuol dire che alla base c'è un problema. Un famoso psicoterapeuta americano ha affermato che una 'cura' consiste nello riscoprire la natura, correre a piedi nudi su un prato o sulla sabbia, tutto ciò che praticamente ci permetta di scollegarci momentaneamente dall'aspetto digitale e cerebrale e ritornare nella vita reale.
Ma l'iperconnessione nasconde altri subdoli pericoli
Infatti, oggi, si inizia circa a 10 anni ad entrare nel mondo di internet con smartphone, profili social e canali youtube, nella lontana di speranza di diventare un web influencer o un fashion blogger. Sono figure così ambite che i giovani farebbero di tutto pur di iniziare una carriera di questo tipo. Si parla proprio di una carriera perché, se si riesce ad avere un buon numero di followers, si viene profumatamente pagati dalle aziende per promuovere i loro prodotti.
Tutto ciò porta con sé degli effetti collaterali poco gradevoli, la continua ricerca di attenzioni e lo scopo di raggiungere la notorietà spinge i giovani a superare ogni barriera e pubblicare contenuti personali che possono risultare pericolosi. I profili social non vengono seguiti solo dagli amici, ma anche da gente estranea che verrebbe a conoscenza di informazioni personali importanti che potrebbero riutilizzate per scopi illeciti allarmanti, mettendo in pericolo l'adolescente.
Like addiction e Vamping, ma di cosa si tratta?
Sono due fenomeni di recente introduzione e nati proprio come conseguenza del fatto di essere sempre davanti allo smartphone o al pc; il like addicition è il desiderio sfrenato di ricevere 'like' riguardo i propri contenuti pubblicati, una sorta di continua ricerca di approvazioni da parte del mondo social che non conosce limiti.
Ormai è 'normale' fare shopping e fotografarsi nei camerini per fare vedere a tutti gli abiti appena provati oppure andare a cena fuori e fare la foto dei piatti per pubblicarla sul proprio profilo social. Il vamping, invece, è l'abitudine di rimanere svegli fino all'alba per chattare o, comunque, per rimanere connessi e si accompagna al fomo, ovvero l'abitudine di svegliarsi durante la notte per controllare le notifiche o rispondere ai messaggi. Per non parlare delle sfide social che consistono nel compiere un'azione (come bere una grossa quantità di bevande alcoliche) e sfidare un amico, attraverso i canali social, a fare lo stessa azione, creando una catena con pericoli per la salute non indifferenti.
Sicuramente l'introduzione di questi moderni strumenti tecnologici ci ha facilitato la vita, specialmente in ambito lavorativo, ma quando non c'è più nessun freno inibitorio è il momento di mettere paura e fermarci a riflettere. Sicuramente non bisogna demonizzare lo strumento in sé, ma l'uso che se ne fa.
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INTRODUZIONE ALL'OPERA
Una domanda di mio figlio, in un giorno qualunque, ha squarciato quel velo di inconsapevolezza che aleggiava dentro di me e ho improvvisamente sentito crescere, nel tempo, una nuova paura: che i nostri ragazzi rimanessero intrappolati nelle maglie del web. Colto da ridde di interrogativi, sono giunto a chiedermi se, ogni volta che si connettono in rete, rischiano di scollegarsi dalla realtà... Così è nato questo libro. Pensieri e interrogativi sui Millennials: lo scritto di un padre preoccupato. Un confronto fra gli adolescenti degli anni Ottanta, la prima generazione senza guerra, e i figli di oggi, cresciuti davanti a uno schermo. In ogni pagina, traccio un percorso che riporti lo sguardo dei ragazzi sulla magia del mondo interiore. Che cosa sarà di loro se, come appare ormai evidente, crescono dimenticando la fecondante funzione dell’altro, così fondamentale per la costruzione del sé e della realtà circostante? Il mio invito alla riflessione vuole essere un punto di partenza. Ognuno sceglierà su quale aspetto porre l’accento. Come sul web, infatti, anche nella realtà è possibile fare un doppio click sulle parole e intraprendere un percorso per dischiudere nuovi orizzonti. In una ricerca ostinata della relazione autentica, ancorata a ricordi spazio-temporali, si muove il mio invito a realizzare una visione progettuale della vita. Fuori dal labirinto del web ci sono sguardi e parole che ci aspettano. Dobbiamo solo alzare gli occhi e ascoltare.
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Eravamo a pranzo sulla bellissima terrazza di una trattoria in campagna, fra le alture di Genova. La natura attorno a noi e il mare di fronte. Tutto sembrava solo da godere e ammirare.
Mio figlio, cinque anni appena compiuti, rivolgendosi a me, con aria supplicante, disse:
«Papà, mi connetti?».
Ci vollero diverse domande prima di capire cosa intendesse. In attesa di iniziare la prima elementare, era con i suoi genitori, in mezzo alla natura e con il mare negli occhi. Cosa poteva desiderare di più?
Mentre mi sentivo in pieno contatto con tutte le espressioni del mondo, qualcosa, evidentemente, mancava a mio figlio per percepirsi completamente immerso nella realtà.
Aveva bisogno della connessione.
Ho intuito, allora, quello che ho compreso appieno poi. Stava nascendo una nuova visione della vita, basata sul sentire degli adolescenti ai tempi del post superfluo: niente è più necessario. Tutto è raggiungibile. A qualsiasi età.
Le domande piene di curiosità che i bambini facevano, sino a pochi anni fa, ora sono a portata di click. Il papà eroe, con le sue risposte formative, non serve più.
Basta chiedere a Google.
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I nostri figli, cresciuti con un video di fronte e noi dall’altra parte, non riescono a fare a meno del web. Siamo spettatori passivi di una nuova realtà, da noi difficile da comprendere e accettare in quanto genitori nati nel secolo scorso. Se non ci sforziamo, però, di trovare un punto d’incontro, rischiamo di perdere la connessione con una generazione che sceglie modelli e miti dai nuovi media.
Quella terrazza, così incantevole, sospesa tra mare e monti, per i ragazzi di oggi non è altro che un posto come un altro dal quale connettersi, incollarsi a un video e perdersi in un virtuale privo di riferimenti spazio-temporali. La realtà nella quale noi genitori, immigrati digitali e figli degli anni precedenti siamo cresciuti, è stata soppiantata da un mondo che isola e annulla i contatti.
Che cosa fare? Quale futuro ci attende? Quale risposta dare al figlio che chiede di essere connesso?
Appare necessaria una riflessione profonda sulla deriva online che ci ha travolti.
E quel giorno, una risposta l’ho trovata. Ho guardato l’orizzonte, alle spalle del mio bambino, con un solo pensiero: riprendiamoci la vita dei nostri ragazzi.
Questa breve trattazione nasce come lettera di un padre molto preoccupato proprio per le relazioni, per lo più digitali, del figlio. Cercherò di sostenere e argomentare la necessità delle relazioni da tripla AAA anche per i rapporti umani. Non parlo di parametri astratti, ma di peculiarità da corrispondere reciprocamente:
ACCOGLIENZA, ATTENZIONE, ASCOLTO.
LA CURIOSITÀ DI CONOSCERE
è il più grande dono che puoi fare a un’altra persona.
Denis Waitley
ATTENZIONE.
LA SORPRESA DELLA SCOPERTA
il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi
Sir Winston Churchill
ASCOLTO.
IL GENIO DELLA LAMPADA.
Molte persone non ascoltano mai.
Ernest Hemingway
Tre gambe di un tavolo relazionale fondamentali, in egual misura, affinché la struttura si sostenga. Basta che manchi una delle caratteristiche, per compromettere la relazione e far decadere la possibilità di entrare in contatto con sé stessi e con l’altro.
Oggi più che mai, infatti, c’è l’esigenza di riprendere a valutare, proporre ed esigere una reciprocità dei legami. Ogni settore della vita quotidiana si basa sulla richiesta e sulla verifica di questo schema.
Prima di entrare in relazione con un altro soggetto, infatti, l’unico modo di conoscerne l’affidabilità è chiedere una valutazione. I partecipanti alle contrattazioni economiche vagliano sempre il rating del contraente, la sua stabilità e il suo valore. Non sono solo le società e le banche ad adottare questo sistema di verifica. Ognuno di noi, prima di impegnarsi in un rapporto, analizza alcuni dati. Sono fasi necessarie, per stabilire una relazione da tripla AAA.
Prendiamo in considerazione il mondo della finanza. Prima di impegnarsi in un’avventura con un altro soggetto, qualunque ente compie un’analisi approfondita basata su: la relazione (Accoglienza), la raccolta di informazioni e lo studio del materiale collezionato (Attenzione).
I manager, poi, si incontrano e indicono riunioni (Ascolto). Al termine esprimono un giudizio sull’affidabilità del soggetto (l’altro). Il livello di rischio previsto per la relazione appena instaurata è definito con un voto espresso in lettere. Procedendo così, per gradi, chi richiede la valutazione arriva alla decisione finale e stabilisce se entrare in gioco e investire risorse.
Le relazioni sociali possono essere considerate con gli stessi parametri. Le tre AAA rappresentano una serie di atteggiamenti che, se assicurati in maniera costante, accrescono la qualità di ogni rapporto umano.
L’Accoglienza, l’Attenzione e l’Ascolto sono fondamentali per riportare le nuove generazioni offline e convincerle a togliere lo sguardo dallo schermo.
La rivelazione di un mondo emozionale, in cui il contatto con l’altro rappresenta un regalo, è l’unica speranza per restituire valore alla vita e ai rapporti interpersonali.
Scrivo questi pensieri, quindi, alla pari di un appello a mio figlio affinché inverta la rotta e riemerga da una caverna che non è più quella del mito di Platone[1], ma il buio e solitario antro del mondo virtuale. Mi auguro che ricominci a immergersi, attraverso tutti e cinque i sensi, nella realtà che noi figli degli anni pre-connessione abbiamo vissuto, per fortuna, appieno.
Ascoltare senza pregiudizi o distrazioni
L’Accoglienza è una predisposizione esistenziale verso una coraggiosa e fiduciosa disponibilità a essere invasi dall’altro. Il verbo invadere rende appieno il sentimento della paura, che, più di ogni altra emozione, mette in una posizione di sospetto e rifiuto nei confronti del prossimo.
Accogliere, però, implica il concetto di ricevere e far entrare nel nostro mondo qualcuno. La stessa matrice linguistica della parola ne esalta il concetto. Accolligere deriva da colligere, cioè da cogliere. La radice legere può essere tradotta anche come radunare, mettere insieme, ridurre gli spazi e le distanze o capire e afferrare il senso.
Non è un caso che il verbo leggere abbia la stessa etimologia.
Chiaramente la prospettiva diventa mettersi in gioco. Ci si spalanca verso l’altro per formare un tutt’uno con lui e poi tornare a essere, dopo l’esperienza condivisa, due persone diverse e più ricche di prima.
Se immaginiamo gli esseri umani come isole, possiamo intendere l’Accoglienza come la costruzione di ponti eretti sulla reciprocità di sentimenti, atteggiamenti e opinioni.
Ponti sostenuti e consolidati solo se accettiamo di liberarci da giudizi e valutazioni.
È solo dalla fatica e dal dolore dell’esperienza, infatti, che si può generare l’energia necessaria per attivare un processo di trasformazione.
Ognuno deve compiere uno sforzo, come quello di aprire la porta di casa a uno sconosciuto. Per farlo bisogna superare le proprie paure. Per conoscere, scoprire e, quindi, fare progressi è necessario predisporsi all’altro con la più preziosa delle qualità umane: la curiosità. Non bisogna fermarsi alla prima impressione o a sensazioni che ci invadono durante la conoscenza.
L’Accoglienza si valorizza quando l’incontro con l’altro è connotato dal desiderio di ricevere, dall’atteggiamento empatico. La ricchezza del confronto, così, mette in luce anche aspetti finora inesplorati della nostra anima.
Si tratta di un processo inverso a quello che stiamo vivendo oggi. Come un artigiano che, lavorando il legno, toglie le parti in eccesso per valorizzare la sua scultura, noi stessi dobbiamo tornare alla purezza, sottraendo il superfluo.
È necessario, insomma, dedicarsi alle relazioni reali. Vissute occhi negli occhi.
Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare;
ed ascoltare.
Non basta accogliere l’altro. Per creare un rapporto autentico, bisogna anche sintonizzarsi sulle sue parole, dimenticando, almeno per un po’, noi stessi.
Proprio come quando cerchiamo una stazione radio, ci vuole impegno per trovare, salvare e far risuonare le onde di chi ci parla. Le sfumature da cogliere sono molte: emozionali, verbali, espressive.
L’Attenzione, però, è anche qualcosa di più. Il vocabolo proviene dal latino attentio che, a sua volta, deriva dal verbo attendere, nel senso di applicarsi a fare qualcosa, svolgere un compito.
Il concetto di Attenzione, tuttavia, racchiude quello di sorpresa. Si attiva quando qualcosa stravolge l’ordinario, costringendoci a mettere in atto lo sforzo di capire.
Quotidianamente, infatti, riceviamo un numero elevato di impulsi e stimoli. Ancor di più ne percepiamo quando navighiamo sul web. Il cervello applica una sorta di filtro che seleziona, in base all’importanza, le informazioni sulle quali concentrarsi. Il bombardamento di stimoli ricevuti sui social, tra notifiche, messaggi e conversazioni, annulla questa scala di precedenza. Tutto va fruito subito e richiede la nostra Attenzione.
L’effetto sorpresa, però, funziona anche in questo flusso continuo di informazioni. Qualcosa di nuovo e inaspettato catalizza l’Attenzione. Sempre.
Nonostante, quindi, anche online esistano l’Accoglienza e l’Attenzione, manca l’ultima A: quella che determina la vera essenza della qualità di ogni relazione umana.
Amo ascoltare. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente.
Anche l’Ascolto è attivato dalla curiosità. Una vera e propria ricerca del senso del linguaggio altrui. Come se ogni nostra conversazione iniziasse con «fammi capire meglio, per favore». In questo modo, accettiamo un tacito accordo con l’interlocutore finalizzato al chiarimento reciproco.
La conversazione con l’altro diventa, così, la dimostrazione dell’interesse verso il significato della comunicazione. A rafforzare questo processo c’è la certezza che più comprendiamo, più ci arricchiamo.
La tensione a capire l’altro, infatti, è un processo a catena di risposte in grado di svelarci parti inespresse di noi.
Emblemi nella cultura popolare sono lo Specchio delle Brame[2], come e soprattutto il racconto de Le mille e una notte: Aladino e la lampada meravigliosa[3]. L’oggetto e il protagonista sembrano dire che, nella profonda comprensione di ciò che sognano le persone, c’è già la realizzazione del desiderio. Con il rispettivo riflesso e sortilegio, si mette esclusivamente in atto l’Ascolto di queste richieste.
stamattina in classe alcune mie alunne hanno presentato il libro "Papà mi connetti?" ai compagni, attraverso un lavoro multimediale ben costruito.
Eh, sì, non ci siamo più sentiti, ma ne approfitto per comunicarle che ho apprezzato la pubblicazione e consigliato la lettura ai ragazzi i quali, durante la pausa natalizia, hanno acquistato una quindicina di copie su Amazon. Perché fossero spronati a leggerlo, ho detto loro che avrebbero potuto sostenere una verifica orale sulle tematiche trattate che ben si inseriscono nel programma di educazione civica (Area Cittadinanza Digitale).
Stamattina dunque abbiamo parlato di lei, dedicando due ore di lezione ai contenuti del libro, in particolare, alle patologie da connessione.
Convinta di farle cosa gradita, ho ritenuto doveroso comunicarglielo.
Un saluto, Pia