lunedì 25 settembre 2023

AUTISMO E EMPATIA. SOFFRIRE ASSIEME. UNA LETTERA SPIEGA COME SIA POSSIBILE.

 



Caro Giovanni,

che piacere risentirti dopo tutto questo tempo!

Ancor di più sapendo che stai bene e ti sia buttato in una nuova impresa! Non sono più di tanto sorpreso, devo scrivere, poiché nel tempo mi sono abituato al fatto che tu sia un “uomo dalle mille risorse”. Certo non mi sarei aspettato di ritrovarti scrittore anche se, come ti definisci tu, “per caso”.

Ho accettato con piacere di leggere il tuo progetto sulla tua storia con Cesare e... Che bello!

Complimenti, sei stato molto bravo, come al solito potrei dire...

Ѐ stato un piacere rileggere la storia di Cesare, e capire, ancor meglio, che cosa è successo in quel lasso di tempo e, grazie al tuo scritto, capire anche perché è potuto accadere...

Devo dire, anzitutto, che mi hanno colpito la lucidità, la semplicità e, nel contempo, la profondità di quanto sei andato a descrivere; con poche, semplici parole sei riuscito a dipingere un mondo che appare ancora oggi strano e misterioso, quello dell’autismo. Mi è venuto spontaneo domandarmi cosa ha funzionato così bene nella vostra relazione e cosa ha permesso di arrivare dove siete arrivati.

La prima risposta è stata: l’EMPATIA!

Questa è una strana parola, talvolta abusata, spesso poco compresa.

Leggendo la storia che tu hai scritto, se ne comprende bene il significato, a partire dalla sua etimologia: “Soffrire assieme”.

Cesare ti ha permesso di entrare nel suo mondo perché ha sentito che anche tu avevi sofferto e potevi così comprendere quello che lui provava.

E poi ti ha “fatto soffrire”, mettendoti alla prova, testando la tua capacità di tollerare anche le sue sofferenze.

Solo dopo averlo fatto ha potuto fidarsi e, quindi, affidarsi.

La seconda è stata la tua “NON PAURA”.

Bada bene: non è il coraggio.

Ѐ il fatto di non esserti fatto spaventare dai mostri che popolavano il mondo di Cesare, di averli saputi affrontare accanto a lui, dimostrandogli che potevano, se non essere sconfitti definitivamente, almeno essere neutralizzati.

Perché lo hai potuto fare?

Un po’ per la tua incoscienza dettata dall’inesperienza professionale, ma soprattutto perché hai saputo guardarti dentro, scoprire che anche tu avevi dei mostri e li avevi neutralizzati…

In definitiva, quindi, è stata la tua grande onestà emotiva e intellettuale a permetterti di ottenere i risultati che, assieme a Cesare, hai conseguito.

Sono contento di avere lavorato con te, di aver potuto rileggere la storia e di scrivere queste cose.

Continua a essere te stesso, ad avere la stessa onestà e a combattere i mostri che popolano il nostro mondo.

Il carissimo Roberto.

Dott. Roberto Soriani - Psichiatra

Salute mentale – ASL3 Liguria




La vera storia della costruzione di una relazione d'aiuto, ritenuta impossibile da realizzare, tra un bambino autistico e un educatore alla sua prima esperienza di "assistenza domiciliare". La scoperta che la disabilità è una realtà, oltre che soggettiva, soprattutto di sistema. Una famiglia angosciata dal "dopo di noi" e la difficoltà da parte di chi si chiede come dare aiuto, di scegliere le parole e lo stile relazionale per dare un tangibile e onesto contributo nel rispetto degli equilibri creati nel tempo all'interno del "sistema famiglia". La ricerca di sentire assieme la "musicalità del silenzio", il tentativo di capire, imparare, vivere il mondo di un bellissimo bambino che all'interno dello "spettro autistico" esprime una vitalità da accogliere, a cui dare attenzione e ascolto. In questo diario si potrà vivere assieme all'educatore che ricorda i quindici anni di affidamento educativo, i reciproci cambiamenti e la crescita dei protagonisti di una storia che era stata presentata come impossibile da vivere e costruire.


Un muro bianco, di fronte a me un bambino bellissimo con un bacchetta da direttore d'orchestra in mano, perso nel silenzio, in una melodia che solo lui percepiva.

Ai piedi del suo letto, di fronte a me le sue gesta per incoraggiare chi non seguiva la sua direzione, e sgridare chi stonava e non lo capiva, l'aria era offesa dalle sue sferzate per rendere la sinfonia sempre più coinvolgente.

Un'esperienza rara come una ferita, stavo iniziando a percepire la musicalità di quel silenzio, fecondato dalla sua disperata voglia di essere un unica cosa con quello spazio e quel tempo.

Questo bambino bellissimo...

Impegnarsi, perdersi nella musicalità del silenzio falciato dalle sue stilettate, i suoi movimenti nell’aria dolci e, improvvisamente, violenti. La sua “bacchetta magica”.

Non stavo male.

Non subivo il dramma dell’incapacità di vivere “normalmente”. Accettavo con amore l’'essere' di Cesare. Mi sentivo naturalmente vicino a lui.

Quelle ore le vivevo totalmente.

Mi sentivo fortunato: guardavo lui, vedevo me. Anche a me non era mai importato altro.

Ognuno il suo mondo.

Ma il problema era proprio come stare al mondo, visto che ci era stato insegnato un unico modo: la sopravvivenza con tutto ciò che ci sta intorno.

E il resto?

Eravamo noi.









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La FOMO. FEAR OF MISSING OUT. Nuove patologie dalla perenne connessione.Ne siamo tutti coinvolti. Siamo disposti a riconoscere questa patologia e a metterci nuovamente in relazione con l'Altro e la Realtà?

 


LA FOMO: LA PAURA DI ESSERE TAGLIATI FUORI


La FOMO, Fear of Missing Out, ovvero la paura di essere tagliati fuori, delinea un tipo di ansia sociale che si esprime attraverso la paura di essere emarginati, esclusi, dalla comunità dei Social Network.

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Nello specifico, la paura di essere tagliato fuori spinge il soggetto a controllare ripetutamente i suoi profili social per verificare e “sorvegliare” cosa stanno facendo gli altri. Da qui nasce la necessità di “abbuffarsi” di immagini, informazioni ed eventi per poter non essere esclusi dalla vita social altrui e propria. Inoltre, un altro aspetto di questa condotta, riporta ad una invidia latente che si manifesta e configura nella considerazione che le esperienze degli altri siano più interessanti e appaganti delle proprie. Ancora, la FOMO porta il soggetto a pensare di perdere l’opportunità di una interazione sociale gratificante: l’esperienza che mi sto perdendo è più gratificante di quella che sto vivendo. Parrebbe quindi che la migliore interazione sociale possibile sia sempre concepita tramite il digitale. Infatti, come ben spiega John M. Grohol, psicologo esperto statunitense, “i Social Network sono contemporaneamente presenza annunciata e assenza percepita degli altri e di sé […] che induce il soggetto a percepire una aspettativa emotiva di qualcosa che si sta perdendo”.
 
La FOMO, la paura di essere tagliati fuori, in prima battuta, può essere attivata dai post visibili su Facebook e Instagram: un selfie durante un evento particolare può suscitare, infatti, la paura negli altri di essere mancati a una situazione considerata divertente. Chi osserva potrebbe sentirsi tagliato fuori dall’evento stesso e ciò comporterà la condivisione di foto o post di situazioni o eventi altrettanto piacevoli, a volte anche non reali. Si può ora ben comprendere quanto ci sia, di fondo, un sentimento di solitudine che si cerca di colmare attraverso i Social. Questa paura può produrre via via la necessità di apparire online per suscitare, negli altri la stessa FOMO. La necessità psicologica di mostrarsi in situazioni piacevoli, diviene più importante di averle vissute davvero.
 
Ma chi ha più probabilità di soffrire di FOMO? Di primo acchito sarebbe lecito pensare che la paura di essere tagliati fuori, la FOMO, porti al “freezing” del soggetto in un’ottica di fuga e ritiro frustrato. Nel caso particolare della FOMO, il soggetto è, però, sempre parte attiva del circuito descritto: è attivo poiché vi è la costante visione dei Social e delle “vite degli altri”, è attivo perché egli stesso ha la necessità di postare e suscitare invidia, mostrandosi divertito, circondato da persone che come lui si divertono.
 
Come ben chiarito da Andrew Przybylski, ricercatore dell’Università di Oxford che per primo ha coniato il termine FOMO, i livelli di quest’ultima sono maggiori in coloro che percepiscono un basso livello di considerazione della propria vita e un rapporto ambiguo e confuso con i Social Media.
 
La necesità di essere sempre connessi, oltre ad aumentare i livelli di FOMO, ci interroga sui livelli di consapevolezza delle persone affette da questo disagio: quale sensibilità rispetto a loro stessi si riconoscono? Che tipo di coscienza genera la necessità della connessione? Queste domande consentono perciò di indirizzare la nostra attenzione sullo sviluppo della cultura sulle dinamiche psicologiche e psicopatologiche della tecnologia online.
 
Quella che infatti pare, e appare, come una connessione, altro non è che una interruzione: interruzione di una interazione che sta avvenendo nel qui e ora considerata, però, potenzialmente meno appagante di un’altra a cui è impossibile non collegarsi e connettersi.
 
Accorgersene è il primo passo, rompere gli schemi abituali la soluzione. Da soli o con l’aiuto di un buon percorso psicologico specialistico.
http://www.escteam.net/2018/09/news/la-fomo-la-paura-di-essere-tagliati-fuori/
 
 
La sindrome da iperconnessione può essere definita come una forma di ansia che non permette, a chi ne è affetto, di disconnettersi dal mondo digitale. Naturalmente questa sindrome si è accentuata negli ultimi anni grazie alla diffusione degli Smartphone che ci consentono di collegarci ovunque ci troviamo, ma quando scollegarsi significa sentire un forte senso di disagio, allora vuol dire che alla base c'è un problema. Un famoso psicoterapeuta americano ha affermato che una 'cura' consiste nello riscoprire la natura, correre a piedi nudi su un prato o sulla sabbia, tutto ciò che praticamente ci permetta di scollegarci momentaneamente dall'aspetto digitale e cerebrale e ritornare nella vita reale.
 
Ma l'iperconnessione nasconde altri subdoli pericoli
Infatti, oggi, si inizia circa a 10 anni ad entrare nel mondo di internet con smartphone, profili social e canali youtube, nella lontana di speranza di diventare un web influencer o un fashion blogger. Sono figure così ambite che i giovani farebbero di tutto pur di iniziare una carriera di questo tipo. Si parla proprio di una carriera perché, se si riesce ad avere un buon numero di followers, si viene profumatamente pagati dalle aziende per promuovere i loro prodotti.
 
Tutto ciò porta con sé degli effetti collaterali poco gradevoli, la continua ricerca di attenzioni e lo scopo di raggiungere la notorietà spinge i giovani a superare ogni barriera e pubblicare contenuti personali che possono risultare pericolosi. I profili social non vengono seguiti solo dagli amici, ma anche da gente estranea che verrebbe a conoscenza di informazioni personali importanti che potrebbero riutilizzate per scopi illeciti allarmanti, mettendo in pericolo l'adolescente.
 
Like addiction e Vamping, ma di cosa si tratta?
Sono due fenomeni di recente introduzione e nati proprio come conseguenza del fatto di essere sempre davanti allo smartphone o al pc; il like addicition è il desiderio sfrenato di ricevere 'like' riguardo i propri contenuti pubblicati, una sorta di continua ricerca di approvazioni da parte del mondo social che non conosce limiti.
 
Ormai è 'normale' fare shopping e fotografarsi nei camerini per fare vedere a tutti gli abiti appena provati oppure andare a cena fuori e fare la foto dei piatti per pubblicarla sul proprio profilo social. Il vamping, invece, è l'abitudine di rimanere svegli fino all'alba per chattare o, comunque, per rimanere connessi e si accompagna al fomo, ovvero l'abitudine di svegliarsi durante la notte per controllare le notifiche o rispondere ai messaggi. Per non parlare delle sfide social che consistono nel compiere un'azione (come bere una grossa quantità di bevande alcoliche) e sfidare un amico, attraverso i canali social, a fare lo stessa azione, creando una catena con pericoli per la salute non indifferenti.
 
Sicuramente l'introduzione di questi moderni strumenti tecnologici ci ha facilitato la vita, specialmente in ambito lavorativo, ma quando non c'è più nessun freno inibitorio è il momento di mettere paura e fermarci a riflettere. Sicuramente non bisogna demonizzare lo strumento in sé, ma l'uso che se ne fa.
 

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INTRODUZIONE ALL'OPERA

Una domanda di mio figlio, in un giorno qualunque, ha squarciato quel velo di inconsapevolezza che aleggiava dentro di me e ho improvvisamente sentito crescere, nel tempo, una nuova paura: che i nostri ragazzi rimanessero intrappolati nelle maglie del web. Colto da ridde di interrogativi, sono giunto a chiedermi se, ogni volta che si connettono in rete, rischiano di scollegarsi dalla realtà... Così è nato questo libro. Pensieri e interrogativi sui Millennials: lo scritto di un padre preoccupato. Un confronto fra gli adolescenti degli anni Ottanta, la prima generazione senza guerra, e i figli di oggi, cresciuti davanti a uno schermo. In ogni pagina, traccio un percorso che riporti lo sguardo dei ragazzi sulla magia del mondo interiore. Che cosa sarà di loro se, come appare ormai evidente, crescono dimenticando la fecondante funzione dell’altro, così fondamentale per la costruzione del sé e della realtà circostante? Il mio invito alla riflessione vuole essere un punto di partenza. Ognuno sceglierà su quale aspetto porre l’accento. Come sul web, infatti, anche nella realtà è possibile fare un doppio click sulle parole e intraprendere un percorso per dischiudere nuovi orizzonti. In una ricerca ostinata della relazione autentica, ancorata a ricordi spazio-temporali, si muove il mio invito a realizzare una visione progettuale della vita. Fuori dal labirinto del web ci sono sguardi e parole che ci aspettano. Dobbiamo solo alzare gli occhi e ascoltare.
TEST IN APPENDICE PER VALUTARE LA DIPENDENZA DA INTERNET.



TUTTI I LIBRI E GLI EBOOKS DI GIOVANNI TOMMASINI


INCIPIT

Eravamo a pranzo sulla bellissima terrazza di una trattoria in campagna, fra le alture di Genova. La natura attorno a noi e il mare di fronte. Tutto sembrava solo da godere e ammirare.
Mio figlio, cinque anni appena compiuti, rivolgendosi a me, con aria supplicante, disse:
«Papà, mi connetti?».
Ci vollero diverse domande prima di capire cosa intendesse. In attesa di iniziare la prima elementare, era con i suoi genitori, in mezzo alla natura e con il mare negli occhi. Cosa poteva desiderare di più?
Mentre mi sentivo in pieno contatto con tutte le espressioni del mondo, qualcosa, evidentemente, mancava a mio figlio per percepirsi completamente immerso nella realtà.
Aveva bisogno della connessione.
Ho intuito, allora, quello che ho compreso appieno poi. Stava nascendo una nuova visione della vita, basata sul sentire degli adolescenti ai tempi del post superfluo: niente è più necessario. Tutto è raggiungibile. A qualsiasi età.
Le domande piene di curiosità che i bambini facevano, sino a pochi anni fa, ora sono a portata di click. Il papà eroe, con le sue risposte formative, non serve più.
Basta chiedere a Google.

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I nostri figli, cresciuti con un video di fronte e noi dall’altra parte, non riescono a fare a meno del web. Siamo spettatori passivi di una nuova realtà, da noi difficile da comprendere e accettare in quanto genitori nati nel secolo scorso. Se non ci sforziamo, però, di trovare un punto d’incontro, rischiamo di perdere la connessione con una generazione che sceglie modelli e miti dai nuovi media.
Quella terrazza, così incantevole, sospesa tra mare e monti, per i ragazzi di oggi non è altro che un posto come un altro dal quale connettersi, incollarsi a un video e perdersi in un virtuale privo di riferimenti spazio-temporali. La realtà nella quale noi genitori, immigrati digitali e figli degli anni precedenti siamo cresciuti, è stata soppiantata da un mondo che isola e annulla i contatti.
Che cosa fare? Quale futuro ci attende? Quale risposta dare al figlio che chiede di essere connesso?
Appare necessaria una riflessione profonda sulla deriva online che ci ha travolti.
E quel giorno, una risposta l’ho trovata. Ho guardato l’orizzonte, alle spalle del mio bambino, con un solo pensiero: riprendiamoci la vita dei nostri ragazzi.
Questa breve trattazione nasce come lettera di un padre molto preoccupato proprio per le relazioni, per lo più digitali, del figlio. Cercherò di sostenere e argomentare la necessità delle relazioni da tripla AAA anche per i rapporti umani. Non parlo di parametri astratti, ma di peculiarità da corrispondere reciprocamente:
 

ACCOGLIENZA, ATTENZIONE, ASCOLTO.

ACCOGLIENZA.


LA CURIOSITÀ  DI CONOSCERE
è il più grande dono che puoi fare a un’altra persona.
Denis Waitley

ATTENZIONE.
LA SORPRESA DELLA SCOPERTA
 il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi
Sir Winston Churchill

ASCOLTO.
IL GENIO DELLA LAMPADA.
Molte persone non ascoltano mai.
Ernest Hemingway

 

Tre gambe di un tavolo relazionale fondamentali, in egual misura, affinché la struttura si sostenga. Basta che manchi una delle caratteristiche, per compromettere la relazione e far decadere la possibilità di entrare in contatto con sé stessi e con l’altro.

Oggi più che mai, infatti, c’è l’esigenza di riprendere a valutare, proporre ed esigere una reciprocità dei legami. Ogni settore della vita quotidiana si basa sulla richiesta e sulla verifica di questo schema.

Prima di entrare in relazione con un altro soggetto, infatti, l’unico modo di conoscerne l’affidabilità è chiedere una valutazione. I partecipanti alle contrattazioni economiche vagliano sempre il rating del contraente, la sua stabilità e il suo valore. Non sono solo le società e le banche ad adottare questo sistema di verifica. Ognuno di noi, prima di impegnarsi in un rapporto, analizza alcuni dati. Sono fasi necessarie, per stabilire una relazione da tripla AAA.

Prendiamo in considerazione il mondo della finanza. Prima di impegnarsi in un’avventura con un altro soggetto, qualunque ente compie un’analisi approfondita basata su: la relazione (Accoglienza), la raccolta di informazioni e lo studio del materiale collezionato (Attenzione).

I manager, poi, si incontrano e indicono riunioni (Ascolto). Al termine esprimono un giudizio sull’affidabilità del soggetto (l’altro). Il livello di rischio previsto per la relazione appena instaurata è definito con un voto espresso in lettere. Procedendo così, per gradi, chi richiede la valutazione arriva alla decisione finale e stabilisce se entrare in gioco e investire risorse.

Le relazioni sociali possono essere considerate con gli stessi parametri. Le tre AAA rappresentano una serie di atteggiamenti che, se assicurati in maniera costante, accrescono la qualità di ogni rapporto umano.

L’Accoglienza, l’Attenzione e l’Ascolto sono fondamentali per riportare le nuove generazioni offline e convincerle a togliere lo sguardo dallo schermo.

La rivelazione di un mondo emozionale, in cui il contatto con l’altro rappresenta un regalo, è l’unica speranza per restituire valore alla vita e ai rapporti interpersonali.

Scrivo questi pensieri, quindi, alla pari di un appello a mio figlio affinché inverta la rotta e riemerga da una caverna che non è più quella del mito di Platone[1], ma il buio e solitario antro del mondo virtuale. Mi auguro che ricominci a immergersi, attraverso tutti e cinque i sensi, nella realtà che noi figli degli anni pre-connessione abbiamo vissuto, per fortuna, appieno.

  

 

Ascoltare senza pregiudizi o distrazioni

 

L’Accoglienza è una predisposizione esistenziale verso una coraggiosa e fiduciosa disponibilità a essere invasi dall’altro. Il verbo invadere rende appieno il sentimento della paura, che, più di ogni altra emozione, mette in una posizione di sospetto e rifiuto nei confronti del prossimo.

Accogliere, però, implica il concetto di ricevere e far entrare nel nostro mondo qualcuno. La stessa matrice linguistica della parola ne esalta il concetto. Accolligere deriva da colligere, cioè da cogliere. La radice legere può essere tradotta anche come radunare, mettere insieme, ridurre gli spazi e le distanze o capire e afferrare il senso.

Non è un caso che il verbo leggere abbia la stessa etimologia.

Chiaramente la prospettiva diventa mettersi in gioco. Ci si spalanca verso l’altro per formare un tutt’uno con lui e poi tornare a essere, dopo l’esperienza condivisa, due persone diverse e più ricche di prima.

Se immaginiamo gli esseri umani come isole, possiamo intendere l’Accoglienza come la costruzione di ponti eretti sulla reciprocità di sentimenti, atteggiamenti e opinioni.

Ponti sostenuti e consolidati solo se accettiamo di liberarci da giudizi e valutazioni.

È solo dalla fatica e dal dolore dell’esperienza, infatti, che si può generare l’energia necessaria per attivare un processo di trasformazione.

Ognuno deve compiere uno sforzo, come quello di aprire la porta di casa a uno sconosciuto. Per farlo bisogna superare le proprie paure. Per conoscere, scoprire e, quindi, fare progressi è necessario predisporsi all’altro con la più preziosa delle qualità umane: la curiosità. Non bisogna fermarsi alla prima impressione o a sensazioni che ci invadono durante la conoscenza.

L’Accoglienza si valorizza quando l’incontro con l’altro è connotato dal desiderio di ricevere, dall’atteggiamento empatico. La ricchezza del confronto, così, mette in luce anche aspetti finora inesplorati della nostra anima.

Si tratta di un processo inverso a quello che stiamo vivendo oggi. Come un artigiano che, lavorando il legno, toglie le parti in eccesso per valorizzare la sua scultura, noi stessi dobbiamo tornare alla purezza, sottraendo il superfluo.

È necessario, insomma, dedicarsi alle relazioni reali. Vissute occhi negli occhi.

 

Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare;

ed ascoltare.

 Non basta accogliere l’altro. Per creare un rapporto autentico, bisogna anche sintonizzarsi sulle sue parole, dimenticando, almeno per un po’, noi stessi.

Proprio come quando cerchiamo una stazione radio, ci vuole impegno per trovare, salvare e far risuonare le onde di chi ci parla. Le sfumature da cogliere sono molte: emozionali, verbali, espressive.

L’Attenzione, però, è anche qualcosa di più. Il vocabolo proviene dal latino attentio che, a sua volta, deriva dal verbo attendere, nel senso di applicarsi a fare qualcosa, svolgere un compito.

Il concetto di Attenzione, tuttavia, racchiude quello di sorpresa. Si attiva quando qualcosa stravolge l’ordinario, costringendoci a mettere in atto lo sforzo di capire.

Quotidianamente, infatti, riceviamo un numero elevato di impulsi e stimoli. Ancor di più ne percepiamo quando navighiamo sul web. Il cervello applica una sorta di filtro che seleziona, in base all’importanza, le informazioni sulle quali concentrarsi. Il bombardamento di stimoli ricevuti sui social, tra notifiche, messaggi e conversazioni, annulla questa scala di precedenza. Tutto va fruito subito e richiede la nostra Attenzione.

L’effetto sorpresa, però, funziona anche in questo flusso continuo di informazioni. Qualcosa di nuovo e inaspettato catalizza l’Attenzione. Sempre.

Nonostante, quindi, anche online esistano l’Accoglienza e l’Attenzione, manca l’ultima A: quella che determina la vera essenza della qualità di ogni relazione umana.

 

Amo ascoltare. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente.

 Anche l’Ascolto è attivato dalla curiosità. Una vera e propria ricerca del senso del linguaggio altrui. Come se ogni nostra conversazione iniziasse con «fammi capire meglio, per favore». In questo modo, accettiamo un tacito accordo con l’interlocutore finalizzato al chiarimento reciproco.

La conversazione con l’altro diventa, così, la dimostrazione dell’interesse verso il significato della comunicazione. A rafforzare questo processo c’è la certezza che più comprendiamo, più ci arricchiamo.

La tensione a capire l’altro, infatti, è un processo a catena di risposte in grado di svelarci parti inespresse di noi.

Emblemi nella cultura popolare sono lo Specchio delle Brame[2], come e soprattutto il racconto de Le mille e una notteAladino e la lampada meravigliosa[3]. L’oggetto e il protagonista sembrano dire che, nella profonda comprensione di ciò che sognano le persone, c’è già la realizzazione del desiderio. Con il rispettivo riflesso e sortilegio, si mette esclusivamente in atto l’Ascolto di queste richieste.


Caro Giovanni

stamattina in classe alcune mie alunne hanno presentato il libro "Papà mi connetti?" ai compagni, attraverso un lavoro multimediale ben costruito. 

Eh, sì, non ci siamo più sentiti, ma ne approfitto per comunicarle che ho apprezzato la pubblicazione e consigliato la lettura ai ragazzi i quali, durante la pausa natalizia, hanno acquistato una quindicina di copie su Amazon. Perché fossero spronati a leggerlo, ho detto loro che avrebbero potuto sostenere una verifica orale sulle tematiche trattate che ben si inseriscono nel programma di educazione civica (Area Cittadinanza Digitale). 

Stamattina dunque abbiamo parlato di lei, dedicando due ore di lezione ai contenuti del libro, in particolare, alle patologie da connessione.

Convinta di farle cosa gradita, ho ritenuto doveroso comunicarglielo. 

Un saluto, Pia

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domenica 24 settembre 2023

IL NURSING NARRATIVO & LA COLLABORAZIONE TRA INFERMIERE E OSS. DUE MANUALI DI SCIENZE INFERMIERISTICHE. GIOVANNI TOMMASINI EDIZIONI.

 


IL NURSING NARRATIVO
Nuovo approccio al paziente oncologico.
Una testimonianza.


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L'incontro tra la persona ammalata e il professionista sanitario inizia quasi sempre con un racconto. Da questo racconto il professionista sanitario effettua un'operazione di interpretazione per ricavare informazioni significative. Questo concetto pone l'attenzione sull'importanza dei significati soggettivi che danno il senso dell'esistere. Su questi significati la persona struttura la sua vita e la sua esperienza di malattia assieme al professionista sanitario per costruire un quadro clinico o assistenziale.La narrazione è un esempio di come le persone strutturano linguisticamente il loro mondo e ne ricostruiscono il senso: questo è il percorso per delineare la storia di malati.

In questo libro si propone un metodo che fornisce strumenti di particolare interesse per la scienza infermieristica.

COLLABORAZIONE E INTEGRAZIONE TRA
INFERMIERE E OPERATORE SANITARIO


Il tema del personale di supporto è particolarmente dibattuto in Italia da diversi anni ed è certamente di grande attualità, non solo nel nostro contesto , ma anche nei contesti sanitari dei Paesi Europei ed extra-europei, dove nella diversità degli assetti sanitari e professionali complessivi, esistono da sempre figure di supporto inserite nei setting assistenziali. In Italia il percorso storico del personale di supporto è stato molto complesso. I primi significativi cambiamenti in questo scenario, intervengono nei primi anni 80 quando , a seguito della cessazione dei corsi di formazione per infermiere generico e per infermiere psichiatrico e della concomitanza carenza di infermieri professionali, si arriva al 1984, all’emanazione del profilo di Ausiliario Socio Sanitario Specializzato. Con l’evoluzione inevitabile della sanità e il progresso tecnico scientifico, aumenta la complessità degli interventi assistenziali, richiedendo all’infermiere un continuo aggiornamento orientato al raggiungimento della qualità assistenziale. Di conseguenza si è reso necessario qualificare maggiormente anche il personale di supporto. L’ultimo decennio per la professione infermieristica è stato caratterizzato da grandi innovazioni e grandi conquiste culturali e normative sia nell’ambito della formazione che dell’esercizio professionale. L’infermiere, mantenendo la completa responsabilità di tutte le fasi del pro-cesso di assistenza infermieristica, si può avvalere nella realizzazione degli interventi assistenziali, ove necessario, degli operatori di supporto, così come prevede il D.M. 739/94.L’attribuzione di attività assistenziali agli operatori di supporto dovrebbe consentire, attraverso una previa valutazione qualitativa dell’organizzazione ed un’analisi delle attività assistenziali, di “sollevare” gli infermieri da attività improprie e da attività ad elevata standardizzazione e, di conseguenza, dovrebbe assicurareun’ottimizzazione dei tempi dell’infermiere ed un miglioramento della qualità assistenziale. In questo particolare contesto si è inserita l’istituzione della figura dell’OSS che, quindi, dovrebbe essere considerato una risorsa che consente di valorizzare le funzioni degli infermieri alla luce dell’evoluzione culturale e professionale di questi ultimi anni.La revisione della letteratura in merito all’argomento ha evidenziato che la nascita dell’OSS ha risposto a tre tipi di bisogni: soddisfare una domanda di assistenza orientata al mantenimento della persona assistita nel suo ambiente sociale; consentire l’evoluzione culturale e professionale dell’infermiere; sopperire alla carenza di personale infermieristico.In realtà, si può affermare che l’istituzione di questa figura è originata non tanto come risposta ad un bisogno “qualitativo”, quanto piuttosto ad un bisogno “quantitativo” delle organizzazioni sanitarie di arginare la carenza “ciclica” di personale infermieristico. L’orientamento attuale deve essere quello di integrare questa figura nel processo assistenziale per dare risposte al cittadino di qualità nel pieno rispetto delle competenze specifiche.

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sabato 23 settembre 2023

RACCOLTA DI POESIE. SULL'ACQUA E SUI SETTE VIZI. LA POESIA CONTIENE SEGRETI. PASSANO IN NOI, FECONDANO L'ANIMA.

 


Ormai la nostra poesia non guarda più al futuro […] Lo “sguardo al futuro”, che era tipico in noi in di quei famosi anni quaranta, lo ritroviamo qui, con la stessa quasi impudica freschezza, con la stessa imprecisa ma emozionante irruenza, con la stessa meravigliosa convinzione dell’autosufficienza della speranza.

Pier Paolo Pasolini

POESIA SULL'ACQUA

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L’arte soccorre e sostiene la causa ambientalista, denuncia e aggrega attorno alle tematiche emergenti, anticipando un ‘sentire comune’, non v’è dubbio. Le sinergie non hanno potenzialmente limite. Prendiamo ‘a caso’ un Depuratore insediato nei pressi del Parco Agricolo Sud, nel territorio di Milano Nosedo e un’Associazione come Artedamangiare con un manipolo di artisti ‘disposti a tutto’ pur di esprimere liberamente la propria concezione di ACQUA e tradurla in INSTALLAZIONI. Poniamo anche che il messaggio trasmesso dalle opere ‘cresciute’ nel parco del depuratore, abbia una fortissima attinenza con il tema cardine dell’Esposizione Universale ideata per Milano contemporaneamente: un’occasione che pare l’adempimento di una premonizione! Il caso, come è noto, favorisce la mente preparata… Cibo ed energia sono indissolubilmente legati, lo sapevamo ma ora lo sappiamo ancora meglio. Il gioco è fatto. Si parte con la celebrazione dell’Acqua che il comparto biotico della Natura permea necessariamente e che quello abiotico modella incessantemente, in un quadro ecologico unitario.In ‘tempi di guerra’ contro gli aggressori dell’ambiente e contro il tempo, al Depuratore di Milano, che ospita la mia installazione ULTIMO IGLOO, UN TABERNACOLO PER L’ACQUA, le cetre non rimarranno appese alle fronde dei salici. Mando l’invito a tappeto: poetesse e poeti, venite a cantare l’Acqua in questa Terra da salvare! Poiché ritengo che le buone azioni collettive dipendano dalla perseveranza delle persone oneste, la denuncia deve essere continua e ‘ossessiva’.



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I vizi capitali, quando non tradizionalmente vituperati, sono celebrati nella vulgata come vitali e irrinunciabili trasgressioni. Gola e lussuria, superbia e avarizia, ira, accidia e invidia vantano in letteratura monumentali trattazioni a cui non si può mancare di rivolgere l’attenzione per creare l’occasione di una ulteriore sempre necessaria riflessione.Ma, di fronte alla richiesta di individuare alcune vie d’uscita dai sette vizi i poeti convenuti non cadono nella trappola e colgono il valore della provocazione suggerendo soluzioni misurate e sagge, ironiche e pungenti, con genuino e spiccato divertimento. I poeti intercettano il disagio causato dai vizi. Evidenziano se i vizi sono subiti o agiti. Li denunciano. Li descrivono in modo inedito, li smontano. Le parole scritte e cadenzate, che danzano nell’aria per loro e per tutti, si confermano un balsamo per l’anima ferita... La soglia del vizio si potrà configurare là dove il comportamento umano/disumano scade e diventa deleterio e distruttivo. Non vi è accettazione passiva né rinuncia dei vizi e delle aberrazioni, bensì consapevolezza, comprensione delle proprie e altrui fragilità, così come di tutte le sane possibili ambizioni. Il tempo presente è connotato da una crisi antropologica davvero imponente e da un rimescolamento sociale tali da rendere perfino paradossale e ridicola la franosa perdita di riferimenti culturali nelle classi dirigenti ed emergenti che sorprendentemente prendono piede in campo economico e politico. Mentre in parallelo si attrezza culturalmente chi, scevro dagli affanni e dalle mire di potere, consacra la propria intelligenza a mestieri antichi, rivisitati e attualizzati, alla meditazione, alla contemplazione, all’arte. Sono tentativi di compensazione e riscatto di una vita sociale fatta di scenari disomogenei, aggravati da disparità economiche difficilmente rimovibili, segnati da opportunità mancate. Opportunità che lambiscono certe esistenze senza attraversarle.


PAGINE D'AMORE PER MIO FIGLIO:


UNE VIE SANS. La résilience quotidienne. Témoignages de vie. Livres, format kindle.

 



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A la recherche du bonheur, quelle est la voie juste que l'on doit suivre ? Une famille heureuse, calins et dialogue. C'est ce qu'on lit dans tous les livres de contes, dans tous les manuels de pédagogie et de psychologie que l'on étudie à l’Université, dans les brochures distribuées dans les rues. Mais en est-il toujours ainsi ?L’oeuvre “Une vie sans”, de Giovanni Tommasini, peut être introduite par une phrase emblématique d'Oscar Wilde: «Les enfants commencent par aimer leurs parents, ensuite ils les jugent. Rarement, voire jamais, ils leur pardonnent».Je crois que le début est justement cela, l’amour d'un enfant envers ses parents qui n'est pas payé de retour, et qui, au contraire, est utilisé comme bélier pour lui infliger des doutes, de l'insécurité, de la peur et de l'angoisse. Une angoisse frénétique et continue, qui ne laisse pas de place aux dialogues, aux éclaircissements, à une trève psychologique, mais qui use tant l'esprit que le corps obligeant le sujet à se réfugier dans l'écriture ou dans des dialogues imaginaires avec des êtres évanescents espérant qu'ils l'emportent loin de la prison de verre, pathologique, dans laquelle il est né.

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Souffrir ensemble 

Préface de Roberto Soriani


Cher Giovanni, quel plaisir d’avoir de tes nouvelles après tout ce temps ! Et plus encore, sachant que tu vas bien et que tu t’es lancé dans une nouvelle entreprise ! Je dois te dire que cela ne me surprend pas tellement, étant donné qu’avec le temps, je me suis habitué au fait que tu sois “un homme aux mille ressources”. Certes, je ne m’attendais pas à te voir devenir écrivain, même si selon toi, cela s’est fait “par hasard”. J’ai accepté avec plaisir de lire ton projet de livre concernant l’histoire entre Cesare et toi et… Que c’est beau ! Mes compliments et bravo pour ce travail réussi, comme d’habitude, dois-je dire... Ce fut un plaisir de faire la relecture de l’histoire de Cesare, et de  comprendre, mieux encore, ce qui s’est passé durant ce laps de temps et, grâce à ton récit, de comprendre aussi pourquoi cela a été possible... Je dois avouer, avant tout, que j’ai été frappé par la lucidité, la simplicité et, en même temps, par la profondeur de ce que tu as décrit ; en peu de mots, simples, tu as réussi à peindre le monde, aujourd’hui encore  étrange et mystérieux, de l’autisme. Je me suis demandé aussitôt ce qui a si bien fonctionné dans votre relation et ce qui vous a permis d’en arriver là. La première réponse a été : l’EMPATHIE ! C'est un mot étrange, trop galvaudé, et souvent mal compris. En lisant l’histoire que tu as écrite, on en comprend bien le sens étymologique : “Souffrir ensemble”. Cesare t’a permis d’entrer dans son monde car il a senti que toi aussi tu avais souffert, et que grâce à cela tu pouvais comprendre ce qu’il éprouvait. Puis, il t’a “fait souffrir”, te mettant à l’épreuve, testant ta capacité à supporter aussi ses propres souffrances. Ce n’est qu’ensuite qu’il a pu se fier à toi et, donc, se confier. La seconde réponse fut ton “absence de peur” ou  ta “NON PEUR”. Attention : ne pas confondre avec le courage. C’est le fait de ne pas t'être laissé effrayer par les monstres qui peuplaient le monde de Cesare, d’avoir su les affronter à ses côtés, lui prouvant qu’ils pouvaient être, sinon anéantis pour toujours, du moins neutralisés. Pourquoi as-tu réussi ? Un peu par l’inconscience due à ton inexpérience professionnelle, mais surtout parce que tu as su, par ton introspection, découvrir que toi aussi tu avais des monstres et que tu les avais neutralisés... En définitive, ce fut, donc, ta grande honnêteté émotionnelle et intellectuelle qui t’a permis d'avoir, avec Cesare, les résultats que vous avez obtenus ensemble. Je suis content d'avoir travaillé avec toi, d'avoir pu relire cette histoire et d'écrire cette préface. Surtout, reste toi-même, garde la même honnêteté et continue à combattre les monstres qui peuplent notre monde. Ton cher Roberto     

                                                                                    Docteur Roberto Soriani         

Psychiatre Santé Mentale




LA DERNIERE LETTRE A MA PREMIERE FIANCEE

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Un livre, ce livre, à lire avec tout son cœur, grand ouvert. L'auteur dès les premières phrases, nous fait accéder, avec une habileté pleine de charme, à une sensibilité extrême et délicate ; à lire comme une   longue cantilène dans  laquelle  on  se laisse  envelopper par les sensations ; on  en  vient  à  s'oublier soi-même  pendant cette lecture. Les pages de ce livre font alterner la conscience de la maturité  issue de la connaissance d'un  temps révolu avec la douce ingénuité  des rêves,  dérivant de l'inconscience d'un temps qu'on  voudrait encore présent, celui  de notre jeunesse,  dans un  solo de voix masculine après celui d'une voix  féminine, au  souvenir de  Michela. Ces pages nous parlent de façon véridique et directe de l'amour, un amour sous toutes ses formes et dans toute son ampleur, dans la multitude d'impressions qu'il nous offre et qui influence notre propre existence, au cours du temps ; il juge nos choix et nos critères de distanciation envers les événements dont nous avons été les protagonistes tout au long de notre histoire. Ce livre présente deux concepts : celui du temps en  tant que  souvenir et celui  de  la mémoire comme tribut, évoqués par le simple visage de quelqu'un que nous avons aimé et par  tout ce qu' il nous a fait éprouver. Un temps, dit l'auteur, dans lequel l'autre existait pour être rencontré, ce pouvoir extraordinaire de  la  rencontre  de  quelqu'un  lors  de  notre  cheminement  solitaire.


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ouriait tout le temps, à tout le monde, à la vie, à son image reflétée dans le miroir et, passée la porte de l'immeuble,  il rencontrait le mécanicien du garage de la Guzzi à qui il souriait, puis à quelques pas de là,  Isolata.       Isolata avait un magasin d'alimentation où, dès l'entrée, cela sentait bon les fruits si mûrs qu'ils semblaient demander à être mangés, et le pain dont l'odeur semblait croquante, un parfum de farine chaude te prenait à bras le corps. Faire la queue, en la regardant prendre tout son temps pour faire les comptes des achats de ses clients, était un vrai plaisir. ........


LE VIRUS C'EST NOUS
REFLEXIONS PENDANT LA QUARANTAINE

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C'est le huit mars qu'on commença à envisager les premières limitations aux libertés individuelles, dans le but de faire barrage à une épidémie imminente causée par le coronavirus. Quelques jours auparavant le “premier cas” à Codogno fit que tout le monde prit conscience que l'on ne pouvait plus regarder les contagions et les morts en Chine en “spectateur”, comme au cinéma.Le virus était parmis nous, et nous seulement pouvions affronter “directement” l’urgence sanitaire. Un important tam tam médiatique se fit entendre pour tenter de faire comprendre que l'unique traitement thérapeutique à l'horizon, l’unique vaccin disponible, n'étaient rien d'autre que NOUS.La réponse fut désordonnée, révélant une impréparation, pour ainsi dire, à la demande de “prise de responsabilité”.


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La descente, et en bas le sentier, chemin de terre qui me conduit jusqu'au coeur de la forêt.
J'ai l'impression d'être arrivé dans une oasis enchantée, enfin.
Personne autour de moi, juste après avoir quitté l’asphalte, c'est comme si j'étais revenu par magie un an en arrière, décembre 2019, plus de masque, plus de statistiques quotidiennes, le virus n'était alors qu'une inquiétude d'ordre numérique, il suffisait d'être vigilent, de ne pas ouvrir de mail suspect, ni de pièce jointe, ni de lien, envoyés par des inconnus.
La forêt devenait plus dense, et moi toujours plus seul, les feuilles de  l'automne craquaient sous  mes pieds, à chacun de mes pas.
J'avais couru une heure environ et maintenant il me fallait remonter, et retrouver le masque, les statistiques quotidiennes, les différentes zones, rouge, orange, jaune, et les blanches réclamées par les gouverneurs pressés d'encaisser et qui font de l'esbroufe.
Une halte avant de retourner  vers l'interdiction d'être heureux.
Soudain, la voix d'une petite fille et la réponse d'un loup à la voix rauque me firent sursauter et, pris de panique, je dus me cacher derrière un buisson.
Je rêve ou bien c'est moi,  Giovanni Tommasini, qui cours ce matin du premier décembre 2020 pour respirer un peu d'air frais,  sans masque ?
“Eh ! Toi, où vas-tu jolie demoiselle avec ton capuchon rouge?”
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