giovedì 1 luglio 2021

UNA VITA SENZA. Una storia di resilienza quotidiana.

 





TUTTI I LIBRI E GLI EBOOKS DI GIOVANNI TOMMASINI

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Sirene

Non erano riusciti a capire il misto assunto.

Un sinistro cocktail...

In un bicchiere, tutta la famiglia sciolta nell’acqua.

Ora, in lui.

Il cassetto delle medicine aperto, ogni confezione vuota.

Niente più.

Disteso tra il lavandino e la vasca da bagno, pallido, magrissimo, accoccolato su un diario, le sue braccia, ancora vive, lo difendevano, stringevano. In loro era rimasta energia: non riuscirono facilmente a togliere quelle pagine dalle sue mani.

“È scivolato!” ai soccorritori dissero così i genitori, che indicarono il corridoio, la porta in fondo...

Chiusa, da dentro.

Impronte di calci e pugni sul pannello esterno.

Respirava ancora. Qualche parola ogni tanto.

Uscendo dal portone le braccia si sciolsero, lasciandosi andare sino a toccare terra.

Il barelliere ripose il diario sul suo petto, il respiro si aprì in lunghi sospiri.

Le mani lo ripresero con sé.

Le sirene lo portarono in salvo.




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CAPITOLO 1

INIZIARE DALLA FINE

 

“Tommasini?”

“Sì, pronto... ”

“Il consultorio familiare. Si ricorda? Cesare e tutte le altre assistenze familiari quando lei era studente universitario. Abbiamo bisogno di vederla, è l'unico che ci è venuto in mente. Vorremmo proporle di prendersi cura di un ragazzo, non riusciamo a capire perché ha cercato la fine.  Anche lui Scienze Politiche, mancava solo l’ultimo esame. Ora è fuori pericolo, ma al suo risveglio vorremmo ci fosse lei ad accoglierlo, ad accompagnarlo nel ritorno alla vita.”

“Mi spieghi meglio, che succede?”

“Abbiamo un diario, pensiamo sia l’unica possibilità per comprendere il gesto e il motivo. A noi è apparso un tentativo di salvezza, di fuga, e con lei vorremmo proporre, costruire, un inizio partendo dalla fine. Le chiediamo di leggerlo, prima del suo risveglio”.

“Posso andare a trovarlo?”

“Certo, si chiama Giovanni”.

Era lì, di fronte a me. Tra noi un vetro, come quello per i nascituri.

Fuori da tutto, finalmente.

Sentivo sollievo, stranamente non riuscivo a soffrire dinanzi a quell’immagine: il suo diario nelle mie mani, il suo viso nei miei occhi.

Nessuno era venuto prima di me a trovarlo. Nessuno.

Una trasparenza ci separava, mi attendevano le sue parole, al suo risveglio mi avrebbero chiamato.

Avrei infranto quel labile vitreo confine, per raccogliere assieme i frantumi delle nostre vite e creare nuovi sguardi sulla vita.

Evitando le schegge che inevitabilmente avrebbero tentato di colpirci, nuovamente.

Percorrendo il lungo corridoio verso l’uscita, quelle pagine iniziarono a bruciare nella mia mano.

“Ecco il suo documento, la chiameremo noi.”

Lasciato l’ospedale, ritornato in strada, una luce, misto di sole e mare, mi fece perdere i sensi per un solo attimo, per tornare in me con una palingenetica sensazione.

Non ero uscito da solo... Era entrato in me, eravamo di nuovo assieme.

Giovanni, il passato va svelato, ripensato, accettato, altrimenti non rimane che ripeterlo, nessuna possibilità di scelta per il futuro.

Ciò che avrei voluto dirgli, ora che ero stato di fronte a lui.

Sentire e capire, avendolo a lungo osservato disteso su quel letto, dopo l’ultima battaglia persa, in attesa del suo ritorno.

Cercare l’inizio partendo dalla fine: solo questo mi portai via dal primo “incontro”.

I pensieri volarono a quei fogli. Dovevo solo attendere e leggere, senza fretta.

Un viaggio senza conoscere la meta finale.

Le prime parole, intanto, sul filobus, verso Pian di Poma, sul diamante della mia giovinezza: la terra rossa, l’erba da accarezzare e le sue pagine.

Parole rare e preziose come una ferita, mai dette, subite, mai ripetute, confessate. La paura fossero vere, insostenibili, enormi.



CAPITOLO 2

CI SARANNO LE PAROLE

PER TUTTO QUESTO?

  

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Non riuscii più a interrompere la lettura.

Una testimonianza, una confessione, una liberazione.

Un rincorrersi, cercare rifugio nella creazione di un testo, creare un senso, risorgere da un vuoto che rapisce.

Leggevo, vivevo le parole di Giovanni e in me esplodeva un testo, profondo, nascosto, mai scritto.

Pagine senza data, un affastellamento di eventi all’apparenza inesprimibili, incomprensibili, drammaticamente incancellabili.

 

Non mi rimanete che voi, pagine bianche, chiedo a Voi, almeno a Voi, accoglienza, ascolto, per far nascere ciò che non riesco a vivere, tenere in me.

Inizierò da quella mattina in cui il male uscì, per la prima volta, da quel portone.

Troverò le parole per dar voce all’inferno quotidiano che mi esplode dentro e mi porta lontano, sempre più estraneo a me stesso.

Quel giorno avrei potuto dirlo, ma non avevo ancora individuato le giuste parole per esprimere il perché mi trovavo lì, di fronte a quel dottore.

Lo rividi il mese dopo per sentirmi comunicare che era andato tutto a posto.

Questo avrei voluto dire: “Mi avete tolto il gesso ma in gabbia sono rimasto io. Mi hanno inciso l’anima, scalfito i sogni, spento il sorriso.

Strappato ogni  pagina più bella, accartocciata e buttata nel cesso. Ma è venuto il momento di riprenderle tutte. 

E i conti li faremo alla fine...”

Ora scrivo io.

............. 




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PAGINE D'AMORE PER MIO FIGLIO


La raccolta su Amazon

Sette Libri e due favole in un'unico Ebook.


Sette storie di vita vissute in prima linea. Con un unica piattaforma social di riferimento, nella quale cercare un'amicizie e condividere le proprie esperienze. L'Altro e la Realtà.
SONO CESARE...TUTTO BENE. Una relazione di reciproco aiuto.
UNA VITA SENZA. Una storia di quotidiana resilienza.
L'ULTIMA LETTERA ALLA MIA PRIMA FIDANZATA.
IL SOGNO AMERICANO DEL TOMATO BASEBALL CLUB. Racconti.
LA SCRITTURA EMOTIVA.
PAPÀ MI CONNETTI?. La dipendenza da internet e il futuro delle nuove generazioni, che stanno nascendo, crescendo, vivendo perennemente connessi, senza più la fecondante esperienza relazionale con un Altro significante. Con un capitolo finale di descrizione delle nuove e gravi patologie derivanti dalla dipendenza da internet. Test finale per valutare la propria dipendenza da internet.
IL VIRUS SIAMO NOI. Riflessioni in quarantena. ....
CAPPUCCETTO ROSSO AI TEMPI DEL COVID.
IL BAMBINO CHE CON IL SORRISO TRASFORMAVA LE PIETRE IN DIAMANTI.
.........

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La felicità non si vive, si ricorda.
Un libro, questo, che va letto con il cuore completamente aperto.
L’autore fin dalle prime frasi ci spalanca con incantevole maestria ad una sensibilità estrema e delicata, che va letta come una lunga cantilena in cui farsi avvolgere dalla sensazioni e riporre noi stessi mentre la leggiamo.
Le pagine alternano la consapevolezza matura- derivante dalla conoscenza del tempo che è stato- alla dolce ingenuità dei sogni- strascico dell’incoscienza di un tempo che si spera mai passato, quello della nostra gioventù- in un assolo di voce maschile che rincorrere quella femminile, ricordando Michela.

martedì 29 giugno 2021

L'ULTIMA LETTERA ALLA MIA PRIMA FIDANZATA

 





Il libro su Amazon Prime

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PREFAZIONE

Un libro, questo, che va letto con il cuore completamente aperto.

L’autore fin dalle prime frasi ci spalanca con incantevole maestria ad una sensibilità estrema e delicata, che va letta come una lunga cantilena in cui farsi avvolgere dalla sensazioni e riporre noi stessi mentre la leggiamo.

Le pagine alternano la consapevolezza matura- derivante dalla conoscenza del tempo che è stato- alla dolce ingenuità dei sogni- strascico dell’incoscienza di un tempo che si spera mai passato, quello della nostra gioventù- in un assolo di voce maschile che rincorrere quella femminile, ricordando Michela.

Pagine che ci parlano in modo veritiero e diretto dell’amore, un amore in ogni sua forma e dimensione, dentro la moltitudine di impressioni che esso ci dona e con il quale ci suggestiona dentro la nostra esistenza, nel mezzo il tempo, giudice delle nostre scelte e metro di distanza sulle vicende che ci hanno visti protagonisti della nostra storia, il libro si snoda su questo concetto di tempo come ricordo e di memoria come tributo, al semplice volto di qualcuno che abbiamo amato e di tutto quello che con esso abbiamo provato.

Un tempo, citando l’autore, in cui l’altro esisteva per essere incontrato, quella straordinaria potenza che è l’incontro di qualcuno all’interno del nostro percorso solitario.



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Un tempo in cui, citando nuovamente Tommasini, la felicità era ancora un momento di intimità, questo diventa, nella storia, il senso vero del ricordo, la possibilità di tornare felici sapendo che lo si poteva essere o che già lo si è stati, la forza motrice inarrestabile della malinconia che ci proietta sempre, inevitabilmente, nella cognizione che le cose migliori sembrino appartenere sempre e solo al passato. Il tuffo negli anni’80 torna potente nella mente, mentre tra il sapore del mare e un giro in motorino, tra ricordi di inizi e di addii, l’autore ci fa assaporare la nostalgica età in cui l’amore può sembrare qualcosa di eterno e infinito.

Le lettere, date e ricevute, diventano un nodo di connessione profondo, in bilico tra il passato e il presente, la vita e la morte, scrivere per ritrovarsi amanti, giovani, scrivere per fermare il tempo, bloccarlo come un fermo immagine speciale fra il proprio immaginario e il proprio vissuto, un ultima lettera alla prima fidanzata che diventa testimonianza sublime di come l’amore possa continuare a vivere e ad alimentarsi tra grandi memorie e piccole frasi.

Per cosa si vive se non per rimanere nell’altro, Tommasini non pone una domanda ma ne fa un’affermazione delicatissima di affetto, un affetto che si discioglie nella famiglia, nelle difficoltà del non capirsi, delle violenze subite e irrisolte in cui l’amore rimane l’unica risposta di salvezza, anche quando finisce.

L’autore ci incanta nella riflessione dei sentimenti e di come ne sappia scrivere così abilmente, un fluido energico di parole che crea una memoria personale in grado di toccare l’intimo di ognuno di noi, citando ancora Tommasini questo libro è per recuperare una dimenticata riserva di ricordi, in cui quelli dell’autore diventano, leggendo questa storia, anche i nostri.         

 

MARTA BORRONI

Incipit

“LA MAMMA DELLA TUA PRIMA FIDANZATA”

Parole scritte a mano.

Rimaste in bilico tra la terra e il cielo, aggrappate alla fessura della buca per le lettere.

Nella quale era rimasta incastrata la busta che, pareva a fatica, si preoccupava di contenerle.

Uno scrigno di cartone, gonfio, al limite dell’esplosione.

Una luce nella mia mente squarciò il buio di anni persi, nella tua mancanza, senza amore.

L’immagine di quella donna che trent’anni fa ci disse: “Non rimane altro che sposarvi”.

Ora come allora sembra attendere una risposta.

Un gesto antico.

Vedo questa donna che scrive il mio indirizzo, mette le lettere, scritte a te, tutte assieme, al sicuro.

Quelle che scrissi a te, Michela, dopo esserci persi.

Il suo pensiero che considera come un fatto naturale il tempo necessario perché ciò che desidera farmi arrivare possa tornare nelle mie mani.

In un luogo distante dal suo.

Un pensiero ormai dimenticato da tutti.

L’attesa di un contatto.

Una spedizione che evoca qualcosa di ormai dimenticato.

Il rispetto del tempo e dello spazio.

Un messaggio in bottiglia arrivato sino a me da una terra dimenticata, un mondo, ormai, ai più sconosciuto.

Al culmine di una salita che ormai ho deciso di lasciare ad altri.

E, ora, queste parole.

Dopo trent’anni.

Il mio primo amore.

Finalmente tornato con me.

La vita inizia nel momento in cui pensi sia arrivata l’ora di arrendersi, finalmente.


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martedì 22 giugno 2021

IL RISCATTO DELLA LETTERATURA VS LA DESERTIFICAZINE CULTURALE SOCIAL

 



GIOVANNI E IL RISCATTO DELLA LETTERATURA

 

GIOVANNI TOMMASINI SU AMAZON

Nessuno sceglie quando venire al mondo.

Così come nessuno decide quando lasciarlo.

È possibile che, lungo il sentiero della propria vita, si possano raccogliere, nel cestello del proprio vissuto, tutte quelle esperienze che, una volta poste in esame sopra un tavolo al ritorno a casa, si rivelano per quella cardinalità che è tipica delle parabole, delle favole antiche e degli insegnamenti, coniati da un senso profondo del quale è impossibile scorgere il fondo?

È una domanda antica e permeante, soffusa e spietata, che intercede qualsiasi pensiero non appena lo scrivano, in qualunque parte del mondo esso si trovi, si segga sulla sua seggiola ed abbia modo di impugnare la penna.

Quanto è fattibile la misurazione del loro riverbero effettivo? La vibrazione innestata avrà una valenza a lungo gettito?

Verrà ascoltata?

Può davvero, la singola esperienza vissuta e respirata nell'intimo, protrarsi oltre la bolla dell'individuale ed andare ad influenzare concretamente il mondo altrui?

È su queste basi che, al primo acchito, il nuovo lettore si approccia a Giovanni Tommasini; perché la medesima domanda, di riflesso, se la pone soprattutto lui, cliente finale: quanto ha peso il testo che leggerò? Mi fornirà quelle soluzioni a cui tendenzialmente punto, quando attingo ad un'opera letteraria, artistica, scientifica, comunque modellata dall'uomo?

Perché è inevitabile affermarlo: l'essere umano è alla assidua ricerca del proprio simile, ovunque esso sia; in modo costante, instancabile, seguendo quel flusso spesso e non misurabile, infinito come il tempo, dettato dal suo stesso istinto recondito. E l'opera d'arte, etimologicamente ideata e gestita dalle braccia, costituisce, senza dubbio fatto, l'agente artificiale di un pensiero, di un concetto immesso dall'Altro; un canale di comunicazione espresso ed inserito nella realtà.

Una liberazione, come riterrebbe Tommasini.

Perché il cammino che ha portato l'autore al compimento della pentalogia che reggete fra le mani, non è avvenuto in un contesto regolare e ovattato, fra muri intonacati di rosa, punteggiati da quadri con riposanti paesaggi agricoli, innanzi ad uno scrittoio di mogano orlato di bordi antiurto e la sicurezza di un paio di imposte sigillate ed un termosifone acceso: Giovanni, educatore di una casa famiglia nel primo entroterra genovese che ha vissuto la propria città fin da bambino nel suo cuore più fibroso e reale, è, a tutti gli effetti, un sopravvissuto. Intellettuale, verrebbe da aggettivare.

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Nato dalla parte nascosta dell'utero, sfociò dal corpo di sua madre come una spiazzante sorpresa; “peloso” e “irrequieto”, espresse ben presto la sua impreparazione al soggiorno su questo mondo mordendo e pestando, rispondendo a tono e chiudendo con tonfi secchi i libri di scuola.

“Ingestibile!”, “Particolare!”. Le insegnanti gli affiliarono un profilo da somaro tale che permisero al padre, dirigente di banca, di mantenere, assieme alla anaffettiva madre, un trattamento esclusivo nei suoi confronti non comunque dissimile da quello che già utilizzava nei giorni buoni. E mentre la sorella stava a guardare, strane voci iniziavano a circolare sulla testa del fratello gemello...

E intanto, oltre il balcone, l'immensa spianata di Sanremo.

Saranno le sue strade, con le loro connessioni, a regalare finalmente giustizia alla pena di Giovanni; un parcheggio inutilizzato, delle mazze da baseball ed un gruppo scanzonato di amici. Basterà poco, perché la vitalità ed il vigore del Giovanni preadolescente riesplodano in una vampata vivace e stuzzicante: una divisa rosso fiammante, due coraggiosi allenatori con un piano infallibile e la scritta “TOMATO”; ed anche Sanremo avrà la sua nuova, seppur inconsapevole, squadra di baseball: sono i Tomato Baseball Club. Inconsapevoli, perché nella loro tenera età, non possono certo immaginare i destini a cui andranno incontro di lì ad un paio di anni…

Incontri e sfide, meteo permettendo. Fino a quell'ultimo, improvviso, deflagrante tuono finale, che squarcerà il campo al culmine della partita; quando la salivazione è a mille, le guance sporche di terra ed i capelli, indisciplinati, entrano negli occhi.

Ma niente paura: tutti per uno, uno per tutti. E mentre ridondano i primi colori ed estetismi degli anni 80, Giovanni, nell'esplorare pian piano le gioie della pubertà, scopre d'improvviso l'abbraccio attanagliante dell'amore, restandone abbagliato... Potrà la vita donargli la felicità a cui ha sempre anelato?

Ci penserà il piccolo Cesare, maestro d'orchestra dei muri, ad insegnargli, bacchetta in mano, quella melodia inascoltata dettata dai silenzi; la mancanza, un ponte con l'esterno da costruire da zero, gli abbracci stretti e quegli infiniti giri in moto.

“Reggiti a me”.

L'università costa, ma il prezzo pagato per coprirlo varrà infiniti dottorati.

Giovanni è un uomo alto, preciso, a modo e dalle dita inquiete. Il suo sguardo, lievemente corrugato da una tacita consapevolezza, cela una malinconia pudica e riservata, mantenuta nell'interiore come uno zainetto chiuso e sistemato sulla schiena, che si può aprire solo con il consenso del proprietario.

Perché malgrado tutto, Giovanni non può non essere definito un artista: le letture i suoi viaggi più belli; i libri, i suoi amici migliori.

La carta è paziente” sussurrava Anne Frank dal retro casa ove si nascondeva, nella Amsterdam scandagliata dalla Gestapo dei primi anni 40. “Cara Kitty, sospira per me”.

E la carta è stata paziente anche con Tommasini: il suo richiamo, prorompente e luminoso, ha interrotto quello cupo e minaccioso delle voci dell'infanzia, agguantandolo persino durante la coda del supermercato, ma salvando, nel contempo, la sua stessa coscienza e mantenendolo saldo, leale, sincero e oltremodo coraggioso.

Tommasini è riuscito ad incarnare al meglio la natura stessa della scrittura, arrivando a bucare, nel silenzio dell'atto stesso, quella membrana sensibile che, nella veglia – qui intesa come non scritturaci divide dalla visione profonda e nucleica degli oggetti stessi, elevandoli senza sforzo – o, si nota in lettura, addirittura accorgimento alcuno – a livelli basilari e comprensibili a tutti; dunque universali.

E nella fiducia verso l'amore a cui tutti tendiamo, ha arrotondato le proprie vicissitudini a misura di metafora, per poi indirizzarle, in un moto di genuina protettività paterna, verso il figlioletto. sotto forma di lettere.

Senza edulcorare, nel contempo, la propria identità personale.

Perché malgrado i calli alle mani, le avversità incontrate nella vita e le guance sporche di fango, Giovanni ha sempre saputo rialzarsi con il sorriso sulle labbra, esplicando, con le sue azioni, una proprietà tipica degli artisti e che li rende effettivamente tali: la resilienza.

La piccola Anne, combattente invisibile nella sua fittizia retrovia, voltata di spalle contro il muro scriveva: “Tutto si può perdere: i soldi, la bellezza, la gioventù... Ma la gioia che hai nel cuore, quella non te la potrà togliere nessuno; e per tutta la vita, tornerà a renderti felice”.

 

 

                                                              ALESSIO  CALLEGARI




Frammenti dalle mie pagine 



 


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sabato 19 giugno 2021

EMOZIONI E PAROLE - La scrittura emotiva

 


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La scrittura emotiva, come viverla, tradurla, metterla a disposizione e in relazione con il lettore?
Una proposta narrativa, un percorso di introspezione per cercare e trovare le parole per esprimere le proprie emozioni. Cosa c'è di più importante e prezioso del nostro mondo interiore? Il rapporto emotivo con la realtà, ciò che condiziona ogni nostra scelta e azione. "La scrittura emotiva" propone una serie di riflessioni per trovare "le parole per dirlo". Perché se Leggere rende Liberi, Scrivere rende Felici. Leggere in Noi stessi, il nostro rapporto con la realtà. Scrivere il nostro futuro, per diventare autori del proprio destino.

LA TECNICA CITAZIONISTICA

 Nei pomeriggi infiniti passati, nei primi anni della mia vita, in solitudine, altro non potevo fare che mettere mano a ciò che in casa mia era presente in abbondanza.

Ancora non potevo capire che sarebbe stata la mia salvezza.

I libri. E che libri. Il meglio.

In mezzo alle sofferenze di un’infanzia difficile, preso da situazioni e passioni sproporzionate per l’età, in assenza di equilibri vivibili, relazioni inconcepibili per un bambino, non poter prevedere “la successiva mossa”, iniziai a chiedere aiuto, a cercare risposte, alle pagine che mio padre, senza soluzione di continuità, aveva tra le mani

I miei “amici elettivi” ,che nel percorso che porta dalle esperienze quotidiane all’esigenza di raccontare e restituire “concetti” in forma semplice e facilmente comprensibile, spesso mi fa piacere chiamare in causa, in aiuto.

In automatico tornano, quasi fossero richieste dall’esperienza vissuta, le pagine alle quali chiedevo aiuto allora, vengono a galla e danno un ulteriore “taglio”, respiro, ai “concetti” che “salvo” per vivere al meglio, comprendere, salvare, l’esperito.

Similmente, nel momento in cui arrivo alla tastiera per cercare le parole per descrivere le emozioni ormai abbastanza chiare in me, così da poter essere “narrate”, gli autori a me più familiari, essendo anch’essi “ricordi” parte della mia storia passata, vengono coinvolti nell’opera di restituzione della “scrittura emotiva”.

Sono due le esperienze fondamentali che nel corso della mia “disperata ricerca” di Sortie de Secours, uscite di sicurezza per rendere sempre più vivibile il mio essere al mondo, mi hanno portato a andare in direzione della “tecnica citazionistica”.

La fortuna di essere stato presente alla conferenza del poeta Giuseppe Conte in ricordo del suo amico Italo Calvino mancato pochi giorni prima e i “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes.

Era da poco iniziata la scuola, fine settembre e ci riunirono in palestra.

Fine settembre 1985.

Il poeta Giuseppe Conte iniziò a parlare del suo amico Italo Calvino, per dare la sua testimonianza nel tentativo di avvicinarci ad una “visione” più alta del nostro vivere. 

“Ora vi faccio un regalo,, vedete voi che fare, potreste anche scegliere di non vivere in balia di voi stessi e degli altri…”. Iniziò a leggere.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà. Se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando assieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

Dunque sollevò lo sguardo.

“Sono le ultime frasi de le Città Invisibili del mio amico Italo. Vedete voi che farne, siete insopportabili”.

Se ne andò.

Una frase. Dalla quale rimasi come folgorato.

Una svolta per me.

La riscrissi e misi il foglietto nel mio portafoglio.

Ritrovai lo stesso respiro, la stessa energia, la possibilità di vivere diversamente la mia disperata voglia di vita, di trovare un senso in tutto ciò che stavo vivendo, nei “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes.

L’autore nella sua opera scompone le dinamiche dell’amore per argomenti dalla A alla Z.

Per ognuno di essi propone un piccolo trattato di presentazione, per poi riportare citazioni e trattazioni di autori classici che avevano già argomentato e espresso il concetto proposto.

In poche parole la vera essenza della cultura.

Proporre visioni originali e diverse su una stessa realtà.

I grandi maestri riuscendoci in poche parole e nella forma più semplice e comprensibile.

Il grande fascino di riuscire a descrivere l’immenso rappresentato dalle umane passioni, la vita relazionale, in poche parole, righe.

Andai alla ricerca di questa magia, e la trovai in tanti autori, opere, forme espressive.

Una frase come “Il naufragio mi ha dato la felicità” (Onda su Onda di Paolo Conte) salva. Va giocata al momento giusto.

È appena finito il temporale e sei case su dieci

son andate giù,

meglio che tu aprì la capotte

e con i tuoi grandi occhioni guardi in su,

beviti sto cielo azzurro e alto

che sembra di smalto e corre con noi”

 

Onda su Onda – Paolo Conte

Le macerie della guerra attorno a noi, l’invito a godersi il futuro, con gioia, grandi orizzonti, aprirsi alla speranza.

Che arte. Che sfida. Rappresentare il misto di ogni realtà, riproponendolo nelle sue contraddizioni in poche parole, piacevoli, incisive, che vanno a toccare, immediatamente, il nostro lato emotivo.

Una sfida.

Riuscirci.

Ma prima cercare, salvare, imparare da chi ne è stato capace, artisticamente.

L’assenza è un assedio.

Piero Ciampi

La perfezione.

Non è solo poesia.

E’ tanto altro.

La poesia contiene segreti ai più poco accessibili.

Che misteriosamente, appunto, passano, entrano in noi, ci trasformano.

Alcune forme espressive rivelano questi segreti al di fuori di un senso compiuto.

Fecondano.

Senza passare da traduzioni.

Arrivano all’essenza.

Confuso sogno.

Umana vita implora

Se tutto, tutto ancora tacerà.

Sandro Penna

Passano oltre, danno nutrimento, aiutano a vivere meglio.



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