Tutti i giorni vado al lavoro la mattina e torno a casa a metà pomeriggio passando dalle alture che da Uscio, paesino sopra Recco, mi portano a Genova.
Il paradiso e l'inferno dei motociclisti.
Li vedo salire sul Monte Fasce.
Per godersi un bel giro in moto, penso.
Sul casco una piccola telecamera, in mezzo alle curve amici stesi per terra con gli smartphone per riprendere la piega, il pericolo scampato, il monoruota estremo, senza casco, senza paura, senza consapevolezza, se non che si sta girando un video per postarlo, pubblicarlo, condividerlo, sui social.
Un gruppo di adolescenti stuprano una coetanea.
Il video dell'orrore condiviso nei gruppi whatsapp.
Ogni stupro la stessa notizia.
Ci sono i video.
Quasi fosse vissuto quale una lavatrice di ogni nefandezza, il web.
Ma anche un clamoroso e sconvolgente scollamento con la realtà, agita e ripresa.
Una anomia digitale agghiacciante, 2.0, un metaverso dell'anima, della coscienza, anestetizzata, messa in ghiaccio, dall'unico pensiero rimasto in gioco.
Scalare le indicizzazioni, essere rintracciabili facilmente sulla barra delle ricerche, ottenere più visualizzazioni possibili.
Per riuscire a bloccare lo scrolling e catturare 6/7 secondi di attenzione a più navigatori anonimi online possibili.
Per sentirsi esistere.
Senza nessuna consapevolezza della responsabilità e conseguenze oggettive del proprio agire.
La vita è messa fuori da questa logica.
Si pensa a se stessi, si da valore al proprio essere al mondo, in relazione al pensiero di essere guardati, provocare "reazioni ", sempre più "touch" sullo schermo di un device, sulla foto, il video, postato.
Altrimenti non si esiste.
Le sfere relazionali tradizionali vengono eluse, non esistono più in questa allucinante dinamica.
Esibizionismo e vojerismo.
La intimità.
La familiarità.
La sfera privata.
La dimensione familiare.
Il vivere la condivisione pubblica.
Nascere, crecere, vivere, con una sola visione, lo schermo di fronte a sé, con un Altro, che dovrebbe essere il genitore, i suoi occhi nei quali perdersi, riconoscersi, identificarsi, crescere, tutti persi, genitori e figli, nella sbarra delle ricerche.
È in atto una definitiva desertificazione culturale, relazionale, emotiva, cognitiva.
Ogni azione umana messa al servizio dei like e delle visualizzazioni viene svuotata delle sue componenti di vitalità e coinvolgimento di un insieme fatto di cinque sensi e voglia di vivere.
Mi fermo qui.
Continuate voi per favore, se siete riusciti a finire di leggere queste riflessioni
Abbiamo raggiunto Marte eppure, in quanto genere umano, abbiamo un problemino con la nostra soglia di attenzione. Che sì, secondo recenti ricerche si starebbe via via riducendo, arrivando a una media di 8 secondi totali: meno di quella di un pesce rosso, per capire la gravità della situazione.
(prima risposta ricerca google "media tempo di attenzione sul web")