domenica 29 ottobre 2023

LA FELICITA'? E' COME ENTRARE IN UN PRATO VERDE A FORMA DI DIAMANTE.





Giovanni Tommasini


Oggi pensavo alla chimera della felicità.

Ho iniziato a riflettere su una sua possibile definizione.

A partire da ciò che non è.

Non è buon umore.

Non è il successo

Non è l'abusata "autostima".

Non è sicuramente ottimismo.

Come possiamo allora definirla.

A mio parere così.


PIENA, PIACEVOLE, GRATIFICANTE CONSAPEVOLEZZA DEL CONTINGENTE, DELLE PARTI IN GIOCO E DELLE SUE DINAMICHE.


Ebbene si.

La felicità è uno stato di conoscenza senza più veli, chiamiamoli giudizi e colpe, sul vissuto in atto, i suoi attori, le regole del gioco e dei giocatori coinvolti.

Un pò la differenza che passa tra chi entrando in quel prato verde in cui un diamante d'erba purissima e piana come una tavola da biliardo, delimitata da un arco di terra rossa, vede la futura espressione della realtà, e chi altro non sa dire altro che su quel "diamante" si vive solo noia.

La differenza che passa tra chi conosce le regole e le dinamiche possibili del baseball, e di qualsiasi altro gioco, e chi non conoscendole giudica noiosa quella realtà.

La vita è felicità nel momento in cui ne percepisci e porti alla consapevolezza le sue infinite declinazioni, ne accetti la possibilità di entrarvi a contatto, e di giocarti le tue carte.

Serenamente, con la disponibilità a riprovarci se le cose non volgessero per il meglio.

Con la consapevolezza dell'essere in gioco pronti ad accogliere gli eventi che come un flash si attiveranno per coinvolgerti.

Et voilà. 

La felicità ne è la piena consapevolezza e disponibilità a sentire e capire gli accadimenti.

Niente di più, niente di meno.

Possiamo anche chiamarla "voglia di vivere".

Giovanni Tommasini

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RICKY RAGE. UN ARTISTA DA SCOPRIRE. MUSICA, PAROLE E EMOZIONI.


BIOGRAFIA RICKY RAGE

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Riccardo Gramazio nasce a Milano il 30-9-1986.
Comincia a scrivere prestissimo, dando voce alla propria vena creativa attraverso poesie, racconti, pagine di diario e canzoni. Ad alimentare la passione artistica è il corso di orientamento musicale frequentato nei tre anni di scuola media,
che gli permette di imparare a suonare la chitarra e di esibirsi più volte con la giovane orchestra dell'istituto. Compiuti i vent'anni, ricoprendo la mansione di guardiano notturno, comincia a lavorare al suo primo romanzo e a scrivere canzoni per la propria band, i WAY OUT, della quale lui è il chitarrista. Il disco (Il tempo è nostalgia), autoproduzione del 2009, comprende 6 suoi brani. Il progetto s'interrompe nel giro di due anni. In mezzo il pessimo rapporto con un'etichetta milanese. Tuttavia il gruppo in poco tempo riesce a togliersi qualche soddisfazione, esibendosi (con il nuovo nome VENERAH) anche sui buonissimi palchi dell'Alcatraz e del Legend 54 a Milano.

Nel 2010 l'autore autopubblica la prima raccolta di poesie Potesse solo neve e il romanzo Petali cadenti.

Nel 2013 il secondo romanzo Sonnifera, la storia di Terry Stones, rockstar fallita in piena crisi esistenziale. Nello stesso anno si avventura in un nuovo progetto musicale, incidendo con l'amico Pat Matrone il suo primo disco solista Solamente numeriL'album esce in formato digitale nel 2014.
Nel frattempo Sonnifera viene pubblicato da Lettere Animate.

LEGATIA UN DOLORE


Il secondo album, Aspettando ieriesce nel 2016. Tre i singoli estratti e pubblicati su youtube: Pesci, Era X, La memoria di ogni immagine.
L'attività letteraria prosegue invece con una nuova raccolta poetica e, soprattutto, con Cliché Noir, romanzo hard-boiled ispirato dal cinema di Tarantino e dagli scritti di Lansdale.
Nel 2018 pubblica il terzo disco, Riflessi spezzati.
Dal 2019, l'autore collabora con il sito Meglio di Niente, occupandosi di musica e promuovendo la scena indipendente italiana. L’ultimo album è Nahimana, del 2021. Nel mentre sia Sonnifera che Cliché Noir vengono ripubblicati dalla Placebook Publishing.

URAGANI


 

 PAGINA AUTORE LIBRI

RICCARDO GRAMAZIO



venerdì 27 ottobre 2023

Un libro che aiuta a crederci, anche quando la vita è più dura del previsto, a tenere duro nelle avversità aggrappandosi alle cose che si amano. A restare umani malgrado tutto.

 


PANICO

BEN TEMPERATO 


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Un libro che aiuta a crederci, anche quando la vita è più dura del previsto, a tenere duro nelle avversità aggrappandosi alle cose che si amano. 

A restare umani malgrado tutto.


PANICO

BEN TEMPERATO 


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Sentimenti, percezioni, sensazioni, i ricordi che scorrono alla velocità della luce, così come altrettanto acuta è la sofferenza vissuta, accumulata e che ha attanagliato per decenni.
Lo stile è scorrevole, poetico e altrettanto intenso. Ogni parola ed espressione sono accuratamente ricercate, proprio come avrebbe fatto un Pittore per trovare la tonalità più adatta per rappresentare ogni minimo dettaglio del quadro che avrebbe realizzato: un quadro triste anche se, paradossalmente, di una bellezza struggente.
Il linguaggio, come in ogni produzione letteraria di Giovanni Tommasini, Autore di Panico ben temperato, è armonico e al tempo stesso accompagnato da una profondità di pensiero, capacità di analisi e da altrettanta emotività che lui cerca a volte di tenere a bada e altre la lascia straripare dagli argini mentre la sua mente si immerge completamente nei ricordi: il tutto e il nulla, la perfezione e l’inferno, la gioia e la più atroce sofferenza, tutto e il contrario di tutto è il cocktail di cui si è nutrito e che ha rappresentato la sua infanzia e adolescenza – terrificante e straordinariamente attraente... una droga tossica di cui liberarsi e senza la quale non si poteva, tuttavia, vivere.
C’è una risposta a tutte le nostre domande e soprattutto a quella legata al ‘Perché’ di tanta sofferenza, delle tante botte e violenze subite proprio da chi avrebbe dovuto proteggerci, difenderci e amarci?
Probabilmente no. Ognuno ha fatto ciò che era in grado di fare. Se fosse stato capace di fare di meglio, di amare se stesso e proiettare altrettanto amore sui figli, di tenere a bada i proprio demoni interiori lo avrebbe fatto.
L’Amore, i sogni, le delusioni, la ricerca di se stessi e, soprattutto, il recupero di se stessi che porti a vivere una Vita degna di essere definita tale, sono i temi predominanti di questo memoir di Giovanni Tommasini. Contemporaneamente, la presa di coscienza e il fare i conti con la propria emotività e sensibilità diventano strumento di liberazione e guarigione da un passato sofferto e che non permetteva di ‘prendere il volo’ e di godere appieno delle bellezze della Vita.
Panico ben temperato è un libro stupendo la cui lettura consiglio a tutti, scritto da un Autore ed Educatore in grado di rapportarsi con il pubblico di lettori, così come con ogni suo interlocutore, grazie a una profondità di pensiero, estrema sensibilità e immensa empatia per l’altrui sofferenza.
Postfazione di Maria Teresa De Donato, Autrice, Giornalista freelance, Dottoressa in Salute Olistica.

L'amor proprio e come mi ha salvato la vita.
Come vivere consapevolmente, storicizzare e neutralizzare, i prodromi del panico.
Ci sono in noi esperienze passate che se non recuperate vanno in automatico ad alimentare tutto ciò da cui siamo scappati. Può rappresentare la sfida di una vita l'affrontare coraggiosamente quell'altrove che tutto vorremmo piuttosto che incontrare e rivivere. Paradossalmente più rimandiamo questo appuntamento più il nostro corpo ci chiederà, nelle forme più diverse e deflagranti, di riprendere a ritroso il cammino.
Il panico può essere nostro alleato, il corpo chiede di fermarsi per trovare "le parole per viverlo".
Siamo fuggiti da quella casa, quelle case, anche se i loro protagonisti continuano a dominare su noi stessi.
Si può tornare, entrare, mettersi in contatto, coraggiosamente trovare le parole per tradurre un'antica male dizione per riprendere, stavolta e per sempre, il cammino, nel sentiero della bene dizione.

„Gli dei di una volta, perso l'incanto e assunte le sembianze di potenze impersonali, escono dai loro sepolcri, aspirano a dominare sulla nostra vita e riprendono la loro lotta eterna.“ — Max Weber


mercoledì 25 ottobre 2023

Un Musetti mitologico. Vince solo su Narciso.

 



Avete mai visto un pavone vincere una partita di tennis?
Un pavone con una racchetta in mano. 

"Narciso rimase a lungo a rimirarsi presso la fonte, cercando di afferrare quel riflesso senza accorgersi che i giorni scorrevano inesorabili, dimenticandosi di mangiare e di bere, tanto che infine il giovane morì presso la fonte che gli aveva regalato l'amore anelando un abbraccio dalla sua stessa immagine".

Musetti ti regalo un libro.

TERRA BATTUTA
Essere vivi e scendere a rete. Questa la felicità.
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In TERRA BATTUTA il tennis viene ad assumere il tono di una allegoria e un inno alla vita.
Lo sfondo e il pre testo sul quale narrare una storia di vita apparentemente ingiocabile, all'interno della quale cercare, trovare e aprire, quello scrigno in cui sono custoditi i momenti migliori vissuti, alle volte dimenticati, ma sempre in noi.
Sogni, miti, passioni, nel ricordo delle imprese degli eroi di questo meraviglioso sport e dei suoi due più mirabili cantori.
Impronte preziose da portare alla consapevolezza.
Per far risplendere, in tutti noi, quella luce che ha permesso di credere che la vita si possa giocare, scendendo a rete, con la voglia di affrontare la realtà che l'Altro ci riproporrà nella risposta al nostro servizio di rimessa in gioco.




martedì 17 ottobre 2023

Estati estatiche, nutrienti, fecondanti, indimenticabili. Un segreto in noi. La paura di sentire che non sarebbe stata così meravigliosa, la vita a venire.


UN ESTRATTO DALLA BOZZA 

DEL MIO PROSSIMO PROGETTO EDITORIALE.


Mi attendeva una solitudine brillante, intorno a me mirtilli, lamponi, more, fragoline di bosco che parevano marmellata appena colta.

Frutti di bosco che lasciavano il gusto del mai provato prima, ad ogni assaggio, a manate, i sensi in sintonia con tutto ciò che girava intorno.

L’assenza dell’assedio,

Non volevo altro. Fermate tutto che scendo e vi lascio andare tutti per la vostra strada, non è la mia.

Non volevo altro e uscivo dal portone in cerca degli amici dei condomini vicini con un'unica immagine di fronte.

Quel prato.

Quella fontana, quei pomeriggi.

Che vivevamo come infiniti.

Rimangono in noi.

A prescindere dal loro ricordo.

È ciò che tiene in piedi, che fa guardare avanti nonostante ogni delusione, che fa alzare ogni mattina e uscire di casa con la voglia di combinare qualcosa di buono, e sorridere, fare sorridere chi con noi vive lo stesso tempo e spazio.

Quell’erba vissuta in ogni modo, correndo, cadendo, tolta dalle ginocchia, sentita sul palmo della mano, accarezzata prima di tentare di baciare le prime fidanzatine, sentita sotto i piedi, si disponeva in noi, in un sentiero interiore da prendere ogni volta che si sentiva il bisogno di vivere, tornare, in quella solitudine così complice.

Il meglio vissuto aiuto a vivere meglio il peggio da vivere.

Estati senza padri, con le mamme in attesa del ritorno dai prati, felici di quei figli finalmente liberi di esprimere la voglia di vivere.



Estati estatiche, nutrienti, fecondanti, indimenticabili.

L’indimenticabile all’esordio della vita e da sperare di incontrarlo, in un misto che sia composto da un impasto prima o poi digeribile.

Fatto più di vita che di morte, anche se mille carezze vengono facilmente spazzate, spezzate, frantumate da uno schiaffo, in qualsiasi forma e sostanza venga dispensato.

Erano giornate senza data, ora, scadenze, solo aria, bellezza, sole, pioggia, esplosione di ogni senso, vinceva la dolcezza del non aver nulla da attendere, nessuna pre occupazione, solo l’esperienza pura e vera della vita.

Un respiro pieno e al ritmo dei propri passi.

Tutta la vita così.

Un segreto in noi.

La paura di sentire che non sarebbe stata così meravigliosa.

Giovanni Tommasini


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mercoledì 11 ottobre 2023

Anche i pesciolini rossi hanno superato il nostro livello medio di attenzione.





Sono anni che cerco risposte alla mia difficoltà a vivere in questo nuovo mondo.
Era un altra vita quella in cui sono nato, cresciuto, vissuto.
Mi ricordo.
Andavo avanti e indietro da Sanremo a Genova durante gli studi universitari nei lontani anni novanta.
Alla fine del secolo scorso.
In treno.
Ricordo incontri, conoscenze, nuove amicizie, il dispiacere di interrompere una chiacchierata piacevole con il compagno di viaggio appena conosciuto che doveva scendere molte fermate prima della mia.
Era naturale salutarsi, iniziare a presentarsi, parlare, guardarsi negli occhi, condividere pezzi di vita, racconti di esperienze comuni, luoghi, persone, vicende personali, che si veniva a scoprire aver fatto e vissuto similmente, senza saperlo. 
Creare complicità, iniziare dialoghi da continuare, in prossimi viaggi su quella tratta così antica.
La linea ferroviaria ligure, un solo binario, i treni che si attendevano alle stazioni per darsi la precedenza, il mare da una parte, i monti dall'altra, una galleria dopo l'altra, luce e buio che si alternavano per dare un senso di vita e di morte al nostro viaggiare comune.
Un viaggio fatto di disponibilità ad entrare in relazione.
E il "frastuono del mondo", come cantava Paolo Conte era un morbido tappeto sonoro che accompagnava il nostro procedere.
Poi è arrivato uno tsunami digitale che ha spento tutto ciò, risucchiato tutto quel ben di dio in uno schermo.
L'ingresso in internet dal pc, ma soprattutto l'arrivo a gamba tesa dei primi social, e le infinite possibilità che gli smartphone hanno messo sul palmo di una delle nostre mani, ha provocato un ribaltamento clamoroso della nostra vita quotidiana.
E un giorno mio figlio mi chiese "PAPA' MI CONNETTI?" e da quel giorno il mio essere padre è stato pian piano cancellato da una sbarra delle ricerche.
Mi sono messo, allora, a scrivere, pagine d'amore per mio figlio, per restituire a lui quel "frastuono del mondo" che mi piacerebbe riprendesse tutti noi in un procedere fatto di sorrisi, abbracci, e delusioni per la discesa di un Altro alla fermata prima della nostra.
In questi ultimi anni ho ripreso il treno per andare a fare le presentazioni delle mie pagine d'amore.
Di fronte a me la presa della corrente per far si che la batteria dello smartphone non scendesse sotto il 90% di carica.
E intorno a me un silenzio assordante.
Nessuna iniziativa di dialogo, nessuno sguardo che si elevasse dallo schermo di un device.
Nessun libro in mano.
Ho cercato su google la media di attenzione attuale dell'utente digitale. 

Questa il primo risultato della ricerca:

Abbiamo raggiunto Marte eppure, in quanto genere umano, abbiamo un problemino con la nostra soglia di attenzione. Che sì, secondo recenti ricerche si starebbe via via riducendo, arrivando a una media di 8 secondi totali: meno di quella di un pesce rosso, per capire la gravità della situazione.

(prima risposta ricerca google "media tempo di attenzione sul web")


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domenica 8 ottobre 2023

UNA PROVOCATORIA LIBERTÀ IN CERCA DI SCRITTURA. LA FELICITA' DI VIVERE LA COMPLESSITA'

 



LA FELICITA' DI VIVERE LA COMPLESSITA'


IN CERCA DI SCRITTURA

(UNA PROVOCATORIA LIBERTÀ)

 

«Non capisco tutto e mi rallegro
persino che il mondo come un oceano
inquieto superi la mia capacità
di comprendere il senso dell’acqua, della pioggia,
 dei bagni nello Stagno del Fornaio […]»
Ode alla molteplicità, A. Zagajewski
 
La scrittrice austriaca Ingerborg Bachmann in alcune interviste rilasciate fra gli anni ’50 e ’70 ci ha lasciato alcune importanti considerazioni circa il compito poetico del pensiero. Un compito che dovrebbe portare nelle esperienze di dolore degli altri perché «il pericoloso sviluppo di questo mondo moderno glielo sottrae» (Bachmann, In cerca di frasi vere, Bari, Laterza, 1989, p.7). Si tratta non solo di un’intenzione autobiografica o intimista di dialogo interiore, ma ci permette di portare attenzione ad una possibile necessità etica, e se vogliamo politica, di una scrittura del “ricordo”. Lo sforzo è dunque quello di appellarsi, attraverso l’esistenza del linguaggio, alla “conoscenza” di quello spazio in cui non si ha solo una vicinanza empatica o d’immedesimazione con il proprio vissuto, ma si raccoglie una rilevanza collettiva della memoria.
La storia dell’altro, oppure propria, diviene così ricordata e non rimossa. Riportata a quel dialogo “comune” che riarticola il senso delle cose, ne fa scaturire margini oscuri, ne assopisce o risveglia alcune luminosità e presuppone la presenza dell’altro o dell’altra, per essere ascoltata, compresa, trasformata. Dopotutto per scrivere ci si ferma a pensare, si scopre la fatica di trovare alcune parole che “sappiano dire” palesando così continuamente la paradossalità “dell’impossibilità di dire”, un gioco straordinario che ci mette nella disposizione a riconoscere che non siamo soli a parlare con noi stessi ma già plurali e insieme ad altri.
Non cloni ma meticci. Quell’origine, quel germoglio che non si riproduce per spezzamento e innesto ma diviene per fortuna nascita, molteplicità di nascite che, come diceva Arendt, è condizione dell’umanità: essere nati per cominciare. Quando si va in cerca di scrittura forse si ricerca proprio questa generatività.
Una provocatoria libertà simile a quella di essere nascenti, non solo frammenti di un mondo capitati qui per caso, ma tessuti intrecciati che disperdono autorità, poteri, ruoli e identità.
La scrittura, così, ci concede quella libertà di fare esperienza di quell’insieme di eventi attraverso il pensare e, anche se già pensati, diventando così, felicemente, un qualcosa di più, di ulteriore, in cui siamo anche di più di quello che abbiamo detto o stiamo per dire.
Sperimentiamo così la posizione, lo sguardo e il punto di vista di chi «stava riuscendo a capire le parole, tutto quello che contenevano. Ma, nonostante tutto, aveva la sensazione che possedessero una porta falsa, nascosta attraverso cui sarebbe trovato il loro vero significato» (C. Lispector, Vicino al cuore selvaggio, Adelphi Milano, 2003, p. 54). Un rischio, come quello di essere liberi ripercorrendo e trovando legami, un’esposizione che richiede la nostra attenzione a trovare temporaneamente una forma.
Non si può certo sottovalutare che la scrittura resti, sia lì, presente, nero su bianco, irrimediabilmente definita. Questa presunta fermezza è tuttavia un margine, una soglia, un confine che di qua ha la mano della scrittrice o dello scrittore e di là lo sguardo della lettrice o del lettore. Grazie a questi personaggi quel confine diviene labile, lì in quel punto nasceste, grazie alla magia di saper concatenare lettere e di vedere questo concatenamento, diviene la possibile ri-articolazione di mondi.
Il lettore o la lettrice vedrà una forma scritta che potrà deformare e portare nel mondo con un giudizio, un punto di vista, un sentimento che la farà essere ancora. In questo senso, quella forma che tanto si va cercando è fragile, effimera, temporanea, anche se scritta.

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La scrittura è un lungo discorso di cui, diceva W. Szymborska: «la prima frase è sempre la più difficile» e nasce, a mio avviso, da un qualcosa che “non so”, da una continuazione di domande, di imprecisioni e inciampi che temo, oggi, la contemporaneità voglia racchiudere in margini di sicurezza, domicilio e perfezione. La scrittura non sta al passo coi tempi, rallenta, aumenta, disloca asettiche verità, s’infila negli interstizi della realtà provando a confonderla per comprenderla. Quando questo accade è un improvviso momento, un momento di cui non si conosce mai l’inizio preciso ma che necessita di spazio per far sì che esso possa cominciare.
C’è qualcosa in cui credere e da perdonare nella scrittura è «la fede nelle forze segrete che sonnecchiano in ogni cosa e la convinzione che con l’aiuto di parole opportunamente scelte riuscirà a risvegliarle: il poeta (o la scrittrice aggiungo io) può anche aver conseguito in modo trionfale sette lauree, ma nel momento in cui si mette a scrivere l’uniforme del razionalismo comincia a stargli stretta. Ecco che allora si agita sbuffa, slaccia un bottone dopo l’altro, finché non salta fuori dal suo vestitino […]» (A. Bokont, J.Szczesna, Cianfrusaglie dal passato, Adelphi, Milano, 2015, p.172).



Paradossale, inoltre, che chi scrive quanto appena detto vada poi in cerca di dialogo, di pensiero non scritto, attraverso una pratica di filosofia insieme all’infanzia e ad altri mondi nell’idea che questo possa permettere un proposito, quello della pluralità, l’insieme, che anche qui «concede il cominciamento, ciò che permette l’interruzione dell’ordinarietà, la sospensione della metodicità, l’emergere di sensibilità rivoluzionarie»
(a cura di S. Bevilacqua, P. Casarin, Philosophy for children in gioco. Esperienze di Filosofia a scuola: le bambine e i bambini (ci) pensano, Mimesis, Udine/Milano, 2016, p.61).



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